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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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382. LE PERVERSE DINAMICHE DEL MERCATO DELL’ARTE CONTEMPORANEA di Roberto Rapaccini
Jean Clair è un noto critico d’Arte francese, considerato
controcorrente per le sue posizioni dure e coraggiose nei confronti dell’Arte
Contemporanea, che, contrapposta all’Arte sacra del passato, definisce un’Arte
del sacrilegio e della desacralizzazione, soprattutto con riferimento a quegli
artisti che possono essere considerati figli del Surrealismo e del Dadaismo (ad
esempio, Cattelan, Damien Hirst, i fratelli Chapman, etc.). Questa realtà
deteriore (e con tale portata) sembra riguardare solo le Arti figurative in quanto non si riscontra in altri ambiti, come le avanguardie musicali o letterarie, ad esempio. Secondo Jean Clair
nelle Arti plastiche è venuto meno il concetto di maestria all’interno di una disciplina, cioè non sono più tramandati da
maestro ad apprendista, ovvero insegnati gelosamente e appresi pazientemente, gli
insegnamenti tecnici (si ricorda, in proposito, che il lemma techné, da cui la parola ‘tecnica’, significa infatti
in greco antico ‘arte’) C’è una diversità sostanziale fra le arti visive e le
altre arti. Le arti del corpo e della voce, ad esempio, si fondano su performances
fisiche, facilmente apprezzabili con i nostri sensi. In questi casi sembra senza particolare sforzo
percepibile la perfezione formale e la trascendenza dell’evento artistico; la trascendenza artistica, tradotta in termini pratici, è l’effetto delle emozioni suscitate, che proietta l'opera in una dimensione superiore
nella quale si rompono i legami fra la rappresentazione artistica e i connotati contingenti, e si eleva la creatività ad un livello assoluto e sublime. Anche l’Arte contemporanea ha prodotto performances: si pensi all’Action
Painting di Pollock o ai così detti Happening. Tuttavia la tendenza
a considerare indistintamente ogni fatto umano - anche ‘sputare in aria’ - un’opera d’Arte
in quanto espressione di uno specifico vissuto, ha banalizzato l'opera, decretandone il
declino. Tuttavia, anche nel passato molti eccelenti artisti si sono
ispirati a fatti contingenti della vita comune, come immagini colte da riviste (nel
caso di Seurat), o vignette dell’epoca, ma la loro elaborazione è transitata
per lo studio dei maestri del passato. Un altro aspetto di discutibile momento
riguarda la commercializzazione di un’opera d’Arte contemporanea, che avviene secondo i
procedimenti applicabili a qualsiasi altro bene. Pensiamo al vitello
tagliato in due immerso nella formalina (Hirst): come può essere elevato questo oggetto a prezioso bene? Associando l’opera ad altre di già consolidato valore (ad esempio,
a quelle di Beuys), questa entrerà in un circuito di gallerie private scelte
e sicure, o anche di musei, che trasformeranno quell’originario
credito incerto, costituito dall’opera in quel momento sconosciuta, in un credito solido, attraverso il loro
autorevole giudizio e riconoscimento, che si concreta per fatti concludenti con l’investimento in mostre, pubblicità e
vendite, talvolta enfatizzate mediante la connivenza di critici di provate capacità. È un
meccanismo fittizio che produce denaro dal nulla e che non ha niente a che
vedere con l’Arte, quella con la A maiuscola, cioè con quella che si basa su un valore estetico. Si comprende
facilmente come il tasso di rendimento di quest'operazione economica è
elevatissimo, e si realizza in breve tempo. Ma questo valore resterà tale negli anni? O questo meccanismo di produzione dell’Arte verrà smascherato in breve? Il vero valore
estetico è destinato a consolidarsi nel tempo e quindi è un effetto a lungo
termine, mentre la speculazione di cui si è detto è solo una performance
economica a breve termine. Il collezionista, pertanto, se non vorrà avere una
perdita economica, dovrà disfarsi dell’opera prima del suo deprezzamento, che spesso è rapido. Non pochi
artisti di qualche decennio fa hanno avuto una rapidissima ascesa, ma oggi sono
abbastanza dimenticati (e anche il loro valore di mercato ha subito un
sensibile ridimensionamento). Se non si fa parte di questo gotha che
produce dal nulla il valore economico di un oggetto di Arte contemporanea, forse conviene
investire nel passato. E per la massa dei fruitori sembra sufficiente la novità
e l’originalità per decretare la dignità di opera d’Arte. ROBERTO RAPACCINI
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