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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI
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WEBMASTER: Roberto RAPACCINI
A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
3 commenti:
Credo che gli intellettuali francesi al quale si riferisce lei siano gli strutturalisti e in particolare Michel Foucault (che scrisse Sorvegliare e Punire). Non sono esperto della filosofia degli autori precedentemente citati, di sicuro il libro Sorvegliare e Punire poneva domande stimolanti sull'istituzione carceraria, tanto da stimolare la sinistra extraparlamentare italiana degli anni '70 (fino ad oggi, visto che Ascanio Celestini, noto anarchico, mira all'abolizione del sistema carcerario). Non sono ancora così competente da giudicare con certezza, di sicuro però tutto ciò che riguarda la società deve essere messo in discussione per migliorarla. Di fatto in Italia sono per lo più immigrati e persone con pene minori ad essere incarcerati, e per loro, oltre che leggi migliori, ci vorrebbero (secondo me) depenalizzazioni di alcuni reati e/o progetti di recupero come il carcere di Bollate (del quale ho sentito dire bene perché mira a reintegrate i detenuti con il lavoro, e fin'ora è l'unico carcere senza suicidi di detenuti). Certo il carcere non puo' e non deve divenire un'agenzia interinale, né l'attuale crisi economica fa sperare che ci possa essere un impiego certo per chi esce dal carcere, però il punto centrale dell'articolo di Angela Davis, che è quello che credo anch'io sia vero (almeno per come l'ho colto io), è che nella società di adesso è diventato come il contenitore degli emarginati e degli immigrati, lasciati in mano a se stessi e alla brutalità della vita carceraria. Angela Davis è una storica "membra" della sinistra radicale americana e come tutti coloro che appartengono alla sinistra non istituzionale vede il carcere come una forma di repressione statale degli individui che sono giudicati colpevoli da un'autorità che si arroga il diritto di poter giudicare e punire, perciò non puo' non vedere come simbolo di oppressione e di potere istituzionale. Foucault, se non ricordo male, ci vedeva anche una certa soluzione di ripiego rispetto alle pene corporali pubbliche per i condannati, poiché intorno al XVIII secolo si è andato sempre di più condannando tali "punizioni" da parte degli intellettuali prima e della società poi, da quel momento lo Stato avrebbe preferito nascondere agli occhi pubblici la sofferenza del condannato, chiudendola all'interno del carcere per non creare sdegno nell'opinione pubblica, ma mantenendo comunque la consapevolezza verso la stessa opinione pubblica della certezza dell'esistenza della pena. Io non saprei confutare o avvalorare tali tesi, di sicuro però il punto centrale è, il carcere rappresenta la misura in cui lo Stato afferma il suo potere di garante della sicurezza oppure è solo un'eredità dello Stato assoluto che governava per il proprio fine? Nonché è necessario il sistema di giudizio "Colpevole/Innocente" per il mantenimento della convivenza pacifica all'interno di una società? Sono domande al quale al momento non sono in grado di rispondere purtroppo (Mi scuso per la lunghezza del post, per eventuali inesattezze, e per un eventuale scarsità di senso nelle mie parole, sono felice di essere corretto).
Caro Francesco, il tuo commento è molto ben articolato e profondo, e coglie il senso del post, in quanto il mio – forse ambizioso - obiettivo, nei limiti miei e dell’utenza del blog e di Facebook, era proprio quello di risvegliare il dibattito sull’istituzione carceraria ad un livello più alto. In altri termini, oggi il problema si riduce al numero di metri quadrati che ha un detenuto, ai servizi igienici che ha a disposizione, alle polemiche sull’applicazione eccessiva o restrittiva, secondo i punti di vista, di certi istituti ( vedi legge Gozzini), ed è giusto, perché questi sono problemi concreti. Ma in passato, come giustamente lasci intendere tu, queste discussioni erano il momento terminale di un più ampio dibattito che coinvolgeva scienze umanistiche come la sociologia e la filosofia, sull’estensione della difesa sociale, sul reale fondamento della colpevolezza, sulla deterrenza della punizione, etc. In questo ambito contributi come ‘Asylums’ di Goffman furono basilari. Oggi, invece che tuffarci direttamente sull’emergenza, per essere più lungimiranti dovremmo ripartire da queste discussioni per approdare a soluzioni reali e più ‘giuste’. E lo scritto di Angela Davis mi è sembrato che potesse servire a questo. Angela Davis è utopistica? Dal mio punto di vista sicuramente. Però non dobbiamo dimenticarci che prima che Franco Basaglia pubblicasse ‘l’istituzione negata’, una società senza manicomi sembrava impossibile. Invece l’utopia era molto più contreta della realtà. Spero di aver risposto alla tua richiesta di precisazioni. Prima di augurarti buona giornata, vorrei chiedere una cortesia. Puoi copiare il tuo commento anche nei commenti al post nel blog Spiritualità e arte? Buona giornata!
Molto interessante. Non possiamo certo risolvere il problema delle carceri in un mondo che ha perso parte della cognizione del vivere sociale e dei suoi principi civili. Va ricostruito un tessuto sociale in cui poi anche il sistema di rieducazione e inserimento possa avere il suo significato. La riflessione sulla carcerazione è una riflessione sulla struttura e la concezione sociorelazionale della popolazione.
Roberto Latini
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