scorr
...in altre lingue...
...in altre lingue...
LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
Questo blog non ha finalità commerciali. I video, le immagini e i contenuti sono in alcuni casi tratti dalla Rete e pertanto sono presuntivamente ritenuti pubblici, pur restando di proprietà del rispettivo autore. In ogni caso, se qualcuno ritenesse violato un proprio diritto, è pregato di segnalarlo a questo indirizzo : rapacro@virgilio.it Si provvederà all’immediata rimozione del contenuto in questione. RR
332. BEATI PAUPERES SPIRITU ( Mt. V, 3) di Roberto Rapaccini
Come
cattolico mi sono posto spesso due quesiti: l’effettiva consistenza del libero
arbitrio e chi in concreto sono i poveri
di spirito destinati ad ereditare il Regno dei Cieli. Le Beatitudini traducono
in termini concretin il messaggio evangelico; per questo si può attribuire ad
esse un valore ‘programmatico’. Il Fondatore dell’Opus Dei, Josemaria Escrivà,
così ne riassumeva effcacemente il senso: Beati i poveri in spirito, perché di essi è
il regno dei cieli. «Se vuoi raggiungere questo spirito, ti consiglio di
essere parco con te stesso e molto generoso con gli altri; evita le spese
superflue per lusso, per capriccio, per vanità, per comodità...; non crearti
esigenze. In una parola, impara con S. Paolo ad essere povero e ad essere
ricco, ad essere sazio e ad aver fame, ad essere nell’abbondanza e
nell’indigenza. Tutto posso in colui che mi dà forza. E, come l’Apostolo, anche
noi risulteremo vincitori nel combattimento spirituale, se manteniamo il cuore
distaccato, libero da legami» (J. Escrivà, Amici di Dio, 123). Nonostante le spiegazioni ufficiali la lettura delle Beatitudini ha sempre avuto per me un contenuto criptico: chi sono i poveri di spirito citati dal Vangelo secondo Matteo al
capitolo V. Il Discorso della montagna o
delle Beatitudini è riportato anche dal Vangelo secondo Luca al cap. VI. Le
Beatitudini sono il modello a cui ci si deve ispirare per vivere secondo gli
insegnamenti di Cristo. Chi vive osservando questi principi è beato, cioè
felice, non solo in quanto destinato
alla salvezza, ma perché operare il bene gratifica di per sé. La prima
istintiva deduzione è la loro corrispondenza con le persone limitate intellettivamente. La povertà
di discernimento raramente però si accompagna all’umiltà che apre le porte del
Cielo, e che dovrebbe essere una
conseguenza della consapevolezza dei propri limiti. La persona affetta da
miopia intellettiva al contrario è in genere fastidiosamente presuntuosa. Confonde
la fede con l’ignoranza. Dice: Io credo e
non mi interessano tanti discorsi. Il senso di questa frase non risiede in una
resa della ragione di fronte alla profondità di un mistero che può essere
esplorato solo con la contemplazione che supplisce all’indigenza del pensiero
razionale. Più semplicemente queste
parole sono un alibi per giustificare la
strutturale incapacità di articolare il proprio pensiero, che è profondamente
ignorante e balbettante. In maniera
specularmente contraria le solide potenzialità dell’ingegno possono alimentare
quel senso di autosufficienza che allontana da Dio. Alcune volte la mancanza di
comprensione della Parola delle Scritture è indice dell’assenza totale di acume. Non di rado paradossalmente questa condizione
di superficiale e sistematico rifiuto della problematicità dell’esistenza genera
un senso di convinta superiorità nei confronti di chi sa guardare più lontano. Uno strano circolo vizioso produce la
falsa coscienza di essere degli illuminati, perché si è oltre le questioni che
si pongono gli altri ‘comuni’ individui. Questo è il risultato di una
mediocrità che, come anche le altre, non ha niente di aureo (la locuzione
latina aurea mediocritas non significa
un'aurea mediocrità ma un’ottimale moderazione; è tratta
dalle Odi - 2, 10, 5 - di Orazio. In Latino il termine mediocritas, infatti, non ha il valore
negativo che ha in italiano; la parola mediocrità significa stare in una
posizione intermedia, e contiene l’esaltazione del giusto mezzo ed il rifiuto
di ogni eccesso). Questi individui non possono essere i poveri di spirito citati
nel brano delle Beatitudini. Più che beati la loro irritante, molesta e fragile presunzione
li destina alla dannazione, restando aperta e impregiudicata la questione della
responsabilità per quello che si è. Tuttavia,
per la loro salvezza possono investire
nelle opere, nella dedizione agli altri. La povertà spirituale è invece
connessa all’umiltà, coincide con il riconoscimento dei limiti creaturali. Non
è miseria materiale: non si riferisce agli averi. Riguarda invece la consapevolezza dei
confini dell’essere. Una ricognizione sulle possibili scelte etiche dell’uomo può
contribuire a delineare il profilo del povero di spirito di cui parla il
Vangelo di Matteo. In proposito, ho letto recentemente un saggio nel quale si
distingue fra etica di Cristo e quella che attualmente caratterizza molti
cristiani. Nel libro di Castillo
Josè M., Fuori dalle righe si
legge che “lo specchio del comportamento etico non è la propria coscienza, ma
il volto di coloro che vivono con me. Quando questo volto esprime pace,
speranza, gioia e felicità, perché il mio comportamento genera tutto questo,
allora è evidente che il mio comportamento è eticamente corretto”. L’etica di
Cristo può essere definita come etica del
bisogno altrui. Cristo nella sua vita pubblica si è occupato principalmente
della felicità e del bene degli altri, sanando ed ammaestrando. Il Cristianesimo
ha infatti un’essenza altruistica, mentre le altre religioni o filosofie, come
ad esempio il Buddismo, si concentrano sull’evoluzione spirituale
dell’individuo; l’aspetto altruistico rimane spesso un connotato recessivo. Per Cristo la necessità di perseguire il
bene altrui prevale sul rispetto formale di qualsiasi convenzione: Egli non
esita a guarire di sabato, trascurando la norma sul riposo settimanale. Molti cristiani sono invece animati da un’etica del dovere: su tutto prevale un
legalistico rispetto delle disposizioni, anche se nel caso concreto esse
mettono in secondo piano il bene altrui. Un dovere etico o religioso non è
sempre codificabile in maniera soddisfacente; inoltre l’interpretazione
formalistica di un precetto può in
alcuni casi ledere l’equità della fattispecie concreta. I Romani sintetizzavano
questa concetto con la locuzione summum ius, summa iniuria, ovvero il
massimo del diritto può determinare il massimo dell’ingiustizia (La frase è
citata come espressione proverbiale da Cicerone nel De Officiis). Il
nostro concetto di giustizia differisce da quello divino, che precipita nella
misericordia, ovvero in un sentimento compassionevole e pieno di pietà per la
nostra sventurata imperfezione; un’analisi divinamente virtuosa può condurre ad esiti umanamente inaspettati,
talvolta inaccettabili a chi è fermo
alla misura prodotta dalla logica della nostra misera prospettiva. È
indicativa in proposito la parabola dei vignaioli, nella quale il
padrone della vigna paga con lo stesso salario lavoratori che hanno iniziato la loro opera in orari
differenti, e quindi hanno lavorato per periodi diversi, chi per poche ore, chi per intere giornate (Mt
XX, 1 -16). In realtà il padrone della
vigna (Dio) nonostante l’apparenza, è giusto, perché da ad ognuno quello
che aveva pattuito. Si evidenziua inoltre nel racconto evangelico
che non possiamo sondare il metro di giudizio di Dio, così lontano dal nostro. Ciò che spinge alla protesta chi ha
lavorato di più è un invidia malcelata dietro il un senso di giustiziainteso in
senso meccanicamente distributivo. Il cristiano che è animato da un’etica
formalistica sente di realizzare pienamente la sua missione quando il suo
comportamento si articola nell’ambito di una liceità indicata dall'etica
positiva, cioè da prescrizioni esplicite, rimanendo su un piano marginale l’adempimento
della legge dell’amore e dell'altruismo. Ma Deus
caritas est (Questo è anche il
titolo della prima enciclica di Benedetto XVI). Le caratteristiche dei
tempi attuali confinano la spiritualità e la riflessione in spazi alquanto
ristretti, che possono allontanare dall’etica
di Cristo, spingendoci a privilegiare il meno impegnativo adempimento
di quanto formalmente indicato. Le disposizioni cristiane tuttavia non sono afinalistiche,
ma hanno uno scopo sostanziale in quanto sono propedeutiche al nuovo ordine morale insito
nel progetto di Cristo. Ma, a
prescindere dagli obiettivi concreti dell’amore cristiano, resta sempre più
facile osservare norme piuttosto che occuparsi degli altri. Tornando al quesito
iniziale, il povero di spirito, se individuato nell’essere limitato
intellettivamente, segue passivamente nel suo comportamento un’etica del dovere. Osservare norme, anche
farisaicamente e senza comprenderne la portata, è facile, e può farlo chiunque,
perché non richiede un impegno mentale: è sufficiente solo avere un po’ di buona volontà. Il povero di spirito, se al
contrario e in senso positivo coincide con l’essere consapevole dei propri
limiti creaturali, potrà essere individuato in chi, spinto dall’umiltà e dal desiderio
di dare autenticità alle sue scelte morali, aspira a tenere una condotta fondata
su motivazioni sostanziali. Se è animato da una fede sincera che lo spinge
verso l’amore per il prossimo, si preoccuperà soprattutto del bene degli altri.
Credo che queste persone, realmente
illuminate dalla Buona Novella, siano i poveri di spirito delle Beatitudini.
ROBERTO RAPACCINI
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
* * *
IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI
(Michael Ende)
* * *
HOME PAGE DEL BLOG (clikka qui)
***
ELENCO DEI POST(clikka qui)
ULTIMA NEWSLETTER(clikka qui)
***
IL FILM, IL LIBRO, IL BRANO, LA POESIA DEL MESE (clikka qui)
***
WEBMASTER: Roberto RAPACCINI
A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.
(Carl Gustav Jung)
1 commento:
Che dire? Ogni pezzetto del tuo scritto è come deve essere. Finalmente un pò di spiritualità, visto che è ormai quasi un blog sulla sola arte.
In particolare mi ha colpito questa frase:"Non di rado paradossalmente questa condizione di superficiale e sistematico rifiuto della problematicità dell’esistenza genera un senso di convinta superiorità nei confronti di chi sa guardare più lontano"
Sky Robertace
Posta un commento