...fingere che l’Arte non
sia l’umile creazione dell’uomo, ma l’esatto linguaggio dell’Universo, e che
possa svelare il segreto delle cose….
(Roberto
Rapaccini, Arte celeste)
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Anni '60 |
L’Arte è sempre stata una compagna. Ho scoperto qualche anno
fa un’analogia fra Santità e Arte. Credo che l’artista non sia il vero autore
della sua opera, che è invece un frammento di un flusso che si
materializza attraverso la sua aspirazione ad essere faber. La
creatività può reificarsi in opere sensibilmente diverse da come furono
concepite; fin dalla sua nascita l’illusorio prodotto della creatività della
mente e dello spirito vive di una vita autonoma. L’artista è solo un medium
quasi sempre ignaro, un canale attraverso il quale si concretizzano in maniera
non convenzionale entità che dimorano in una memoria collettiva. Per questo
l’opera d’Arte è familiare a chi ha la sensibilità per interpretarne il
linguaggio a prescindere dalle sue conoscenze culturali specifiche.
Attinge da quello che Carl Gustav Jung chiamava l’inconscio
collettivo, un sedimento comune a tutti gli uomini, un patrimonio che proviene
dai nostri avi. L’analogia fra Arte e Santità si concreta anche in questo: come
il santo è un mistero a sé stesso, così l’artista è ignaro del pieno
significato dei suoi gesti. Entrambi sono accomunati dal parallelo destino di
manipolare una materia che non padroneggiano: il Trascendente per il santo,
l'Arte per l'artista.
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Criss |
L’Arte attraverso un linguaggio universalmente
conoscibile è sempre stato un catechismo che educa, una palestra per la
sensibilità, un esercizio per scandagliare le potenzialità intellettive. I
valori superiori che traduce e rende comprensibili contribuiscono a formare
nell’uomo la spiritualità, che, data la sua genesi, diviene, come in un circolo
vizioso, uno strumento di decodifica di forme e di
vibrazioni. Tutto questo sembra in contraddizione con la frase iniziale
sull’Arte celeste. Se l’Arte ha una sua oggettiva valenza, come può essere il
risultato di una finzione, quella di ritenerla l’esatto linguaggio
dell’Universo anziché l’umile creazione dell’uomo? Con un atto di volontà
l’uomo esorcizza l’indigenza della sua afasia mentale. Di fronte
all’ineffabile natura dell’Arte, egli simula che essa sia un proprio prodotto,
cioè una materia che conosce e che sia in grado di dominare. Non sono stato
solo un fruitore dell’Arte. Fin da ragazzo ho avuto interesse per il cinema e
per le arti figurative, ed ho cominciato a sentire il bisogno di comunicare
attraverso forme non convenzionali. Nella maturità ho cominciato ad esporre le
mie opere. I materiali che avevo scelto, ovvero gesso, vernici, cemento, legno,
erano funzionali ad un’espressività che faceva riferimento all’universo
metropolitano, e che cercava di assimilarne i colori, le forme ed i
suoni. Così le superfici finivano per contenere un complesso campionario
di segni e forme che richiamavano lo scenario che fa da sfondo
all’esistenza dell’uomo. Erano frammenti di un immaginario, che colti nella
loro lirica essenzialità, perdevano ogni significato oggettivo per animarsi in
assonanza ai ricordi, diventando così il correlato oggettivo delle mie
emozioni. Ingannavo il mio desiderio di assoluto e pertanto, fingevo che
l’Arte non fosse l’umile creazione dell’uomo ma l’esatto linguaggio
dell’Universo, e che potesse svelare il segreto delle cose. Ho tradito uno
dei miei principi: l’artista deve parlare di Arte, ma mai delle sue opere: la
sua visione è limitata dall’assenza di piena consapevolezza del proprio
prodotto. Non è vero che l’Arte sia un linguaggio esclusivo destinato a pochi.
Sono le nostre sovrastrutture che ci rendono difficile comprendere un modo di
comunicare così universalmente primitivo. L’Arte rende semplice e comprensibile
la complessità di un pensiero che richiederebbe una lunga negoziazione
linguistica per essere espresso, una mediazione che farebbe sfumare le emozioni
di una percezione non mediata. Si stabilisce il valore di un'opera d'arte in
relazione alla notorietà dell'autore. È la crisi del concetto di Arte.
Decidere del valore di un'opera in relazione alla provenienza significa
sconfessarne la sua realtà autonoma e mistica. Incuriosito e meravigliato ho
apprezzato l'acuta provocazione di Piero Manzoni, che ha inscatolato ed esposto
le proprie feci:
pur trattandosi di escrementi, quella materia era nobilitata in quanto prodotto
di un artista. Sorridevo di me stesso, che ero parte senza accorgermene
dell'equivoco che
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Amadeus |
porta a giudicare il prodotto della creatività umana per la
sua genesi e non in base a connotati endogeni e oggettivi. Valutare un'opera
per la sua paternità significa dimenticare che fra tutte quelle realizzate in
vita dagli artisti più celebrati, solo alcune sono capolavori. Si esce
dall'equivoco se si ha chiaro che il mercato è cosa diversa dall'Arte.
Stabilire il valore di un quadro o di una scultura, considerando la valenza
intrinseca solo uno dei tanti parametri, come l'autore, il contesto e il
periodo storico, equivale a degradare il quadro o la scultura a bene da
collezione, come si trattasse di un francobollo. Questo non significa che
l'indagine che porta a individuare il contesto storico di un'opera, la scuola,
e l'autore, non abbia senso. Significa che l'analisi storico-sistematica è solo
uno strumento di interpretazione, non l'automatico giudizio di valore di un
bene non monetizzabile. (da Arte Celeste, Dal Profondo dell'Abisso,
inedito, depositato nel febbraio 2013) ROBERTO RAPACCINI
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