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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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67. ALBUM 2011 - Recensioni di Roberto Latini

“THE COLD”       Flotsam and Jetsam  (2011)
Dall’86, anno del primo album, gli statunitensi Flotsam and Jetsam  sono stati uno dei gruppi trash più variegati dal punto di vista compositivo, non rimanendo in un solco stilistico autoreferenziale. Ancora una volta, con questo decimo, si dimostrano capaci di intraprendere nuove strade, anche se non rivoluzionarie, sufficientemente studiate per regalare perle di valore. Un lavoro molto ammorbidito rispetto ad altre produzioni della band, ma il risultato è meraviglioso. Un misto di power e progressive, fuso al piombo trash. Lo stile vocale a volte ricorda i Queensryche, altre volte ricorda l’epicità di Ronnie James Dio. Il tutto è molto raffinato nonostante la durezza, e i suoni sono il risultato di una ottima produzione tecnica, ma non iper-tecnica, che li avrebbe snaturati. “HYPOCRITE” sembra voler distruggere la loro fama di trasher, iniziando in maniera soft, ma subito dopo il brano si accende nella cattiveria tipica del genere. E’ il ritornello, secco e urlato, a lasciare il segno. Con un riff ossessivo e tirato si accede ad un ritmo mid-time, nella canzone “TAKE”. Si tratta di uno stile in linea col passato della band, dalla carica incorrotta. Inserto acustico e poi assolo stridulo, sopra un sound che rimane corposo e pesante. Meglio il secondo assolo, stavolta molto poco trash. “THE COLD”, la title-track, naviga su di una atmosfera più cupa. Qui si sente fortemente l’ispirazione data dai Queensryche; e come quelli sono una delle miglior band dell’Heavy Metal, questo è uno dei migliori pezzi dell’album. La voce ricorda molto le interpretazioni di G.Tate dei Queensryche, ma tale gruppo è richiamato anche dal modo simile di incastrare le variazioni sul tema. Il ritornello è un angoscioso ululare pieno di pathos, pathos che si evidenzia intenso per tutta la durata della traccia. In linea con il titolo, si sente anche il respiro di un uomo che rabbrividisce. Segue subito un’altra brillante perla: “BLACK CLOUD”. Più rock, è un thrash che si spiattella nel cranio con irruenza e decisione. Headbanging a tutto andare, ritmo serrato e riffing roboante; ma tutto si regge grazie soprattutto alla parte cantata, rabbiosa al punto giusto. “BLACKENED EYES STARING” rotola giù pesante grazie alle chitarre ribassate e al ritmo. In realtà la parte cantata ad un certo punto rallenta portando la modalità vocale anche qui vicino ai Queensryche, per cui raffina la canzone. Il senso del rallentamento non porta però soavità, bensì tristezza e dolore. Qui l’assolo di chitarra appare leggermente più impegnativo che in altri brani. Insieme a “The cold” e Black cloud”, essa forma un terzetto perfetto. E’ in “BETTER OFF DEAD” che si trova un pochetto di “dolcezza”, o, se vogliamo, minore rabbia, dato che si tratta di un momento di disperazione straziante. L’inizio è acustico, con una chitarra e voce che tornano a portare i Queensryche; mentre il ritornello ricorda di più lo stile dei Metallica. “SECRET LIFE” è invece in assoluto il pezzo più progressive dell’album. E’ qui, soprattutto grazie ai cori, che si respira maggiormente lo stile derivato dai Queensryche. Ritmo e pause si alternano con maestria. Non si tratta di una traccia scatenata, ma di un heavy metal elegante e più tradizionale. Quando però si velocizza, sfuriando in un assolo molto bello, si va verso un power metal pieno di energia.  Questo disco è solo parzialmente trash; anche se i F & J lo erano in toto, all’inizio della loro carriera, negli anni hanno saputo modulare sapientemente il loro sound violento con stimoli venuti da altre esperienze. In effetti la band è stata sempre diversa dalle altre, lavorando verso una propria caratterizzazione molto personale. Non hanno mai attirato le masse, ma la loro capacità artistica è alta, e questa opera lo dimostra una volta di più.

Voto altissimo: 9,5. Il miglior disco del 2011 per il momento.
ROBERTO SKY LATINI

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“THE SCOURGE OF THE LIGHT”   Jag Panzer (2011)

E via col classico heavy metal alla Ronnie James Dio (sembra che ormai sia lui la figura più copiata). Non siamo di fronte al massimo dell’originalità, ma davanti ad un bel disco si. “CONDEMNED TO FIGHT”, veloce ed epica, è una canzone che spinge la band alla loro durezza limite (il massimo che sembra possano esprimere), ottima per aprire l’album. Quindi un brano ficcante, ritmo e parti soliste danno il meglio di sé. Power ed epic metal in cui si immettono brevi inserti ispirati alla musica classica. Anche la parte vocale si esprime con qualità. Pure “CYCLES” fa parte del lotto più duro del disco, ma qui il tempo è un ritmo medio, e la batteria sostiene i riff ottimamente. La composizione più originale. Interessante la parte cantata con i cori viscidi che l’accompagnano. Ganza da sentire pur nella sua semplicità. “LET IT OUT” fa parte dei brani migliori, sebbene non sia molto personale. Però risulta energica, divertente e accattivante, senza essere mai banale. Ottima per i concerti. “UNION” non è tirata, la sua forza non sta nella velocità o nella durezza, ma nella linea melodica della parte cantata e dell’assolo di chitarra. Non è una ballata, ma è un pezzo composto più di testa che d’istinto, con la passione dell’intelligenza e non con il cuore nello stomaco. A dispetto dell’inizio acustico, “BURN” brucia davvero. Utilizza la rabbia, lanciandosi in una epica cavalcata metal, attraverso una voce acuta alla Halford, che cede solo nel ritornello, più ovattato. Un brano alla Judas Priest anche nel tipo di riff. Nella globalità possiede una ampiezza d’atmosfera che manca a molte altre tracce. Al centro si spezza in una vibrazione meno violenta ma più ferina. L’album termina con la più ampia “THE BOOK OF KEELS”, dal carattere medievaleggiante, anche grazie alla presenza del violino. Un bel momento epico che le voci liriche maschili e femminili trasbordano ad un certo punto verso il lato più hard che non si velocizza, rimanendo rallentato il ritmo, ma acquista un tono ipnotico e magico. Se vogliamo analizzare criticamente, i Jag Panzer ci presentano un sound collaudato da tempo, ma lo percorrono senza appiattirsi nel banale, sebbene i brani minori, non citati, talvolta incappino in piccole ingenuità, utilizzando a volte brevi passaggi non troppo originali.

ROBERTO SKY LATINI

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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)