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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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30. LA VIA DEI SUFI di Stella Maris

Un uomo cammina nel deserto. Indossa un abito di lana grezza, un turbante, un paio di sandali e ha una rosa di colore rosa scuro nella mano destra. Il caldo non sembra infastidirlo, la sete non sembra affliggerlo, il suo sguardo è profondo e sereno. Da qualunque luogo venga e in qualunque luogo giunga, per lui non fa differenza, perché sa che lui è in tutto e tutto è in lui. Egli è consapevole che Dio è ovunque e che, qualunque cosa accada, Dio è in lui e con lui. Quell’uomo è un Sufi. Potrebbe essere Al-Hallaj, che andò sorridendo ad essere barbaramente “giustiziato” a Baghdad nel 922, per aver detto “Io sono la Verità”, oppure Junayd, il maestro sufi che condensò l’essenza di questa via nell’affermazione: “il Tasawwuf consiste in questo: che Dio ti faccia morire a te stesso e vivere in Lui”. Sufi è un modo di essere, è mettere la ricerca dell’unione con Dio al primo posto nella vita, è “essere in questo mondo ma non essere di esso”. La tradizione dice che i Sufi sono sempre esistiti ma la pratica non aveva un nome; il termine Sufismo è stato coniato nel 1821 da uno studioso occidentale. Ogni –ismo è un’etichetta che costringe in canoni rigidi, mentre i Sufi seguono la tarika-sufiyya e cioè la Via del Sufi, una via che può essere a volte molto individualizzata e apparire anche contraddittoria a chi cerca di catalogarla con la mente convenzionale. E’ la grande via mistica dell’Islam, ma si ricollega alle tradizioni spirituali e filosofiche e alle scuole iniziatiche ed esoteriche dell’Oriente e dell’Occidente, vi si trovano riflesse la Teoria delle Idee di Platone e le Enneadi di Plotino: non si può non pensare alla danza dei dervisci rotanti, una delle espressioni Sufi, se si legge l’affermazione seguente di Plotino: “Solo fissando lo sguardo nell’Uno approdiamo al nostro termine e al nostro riposo e danziamo veramente intorno a Lui una danza ispirata ad un canto che le si intona”. Del resto, i molteplici percorsi mistici debbono avere degli elementi in comune se la meta di ognuno di essi è la Verità oggettiva e assoluta (“ Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono a una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non esiste alcuna contraddizione” – Jalâl âl Din Rûmî). Ma come avviene l’unione con il divino? I Sufi distinguono 7 stadi o stazioni (maqâmat) del Cammino della Verità, 7 livelli che l’ego deve superare per connettersi all’Assoluto. Il primo è quello dell’uomo soggiogato dai desideri terreni, in cui l’ego lotta e soffre per soddisfare se stesso ma proietta sempre all’esterno da sé la causa della propria condizione di infelicità. Questo è lo stadio più comune e forse anche il più difficile a cui sottrarsi prendendone consapevolezza; il secondo è quello in cui l’uomo inizia a lavorare su se stesso e a condurre la lotta interiore, spostando la “colpa” su di sé; il terzo è il livello dell’uomo che ha superato i bassi istinti sviluppando doti come la pazienza, l’umiltà, la perseveranza, la resa alla volontà divina, ha raggiunto un equilibrio interiore e può quindi sperimentare nuovi stati di coscienza; dal quarto al settimo si passa a livelli sempre maggiori di consapevolezza che permettono di attraversare le difficoltà della vita senza perdere la serenità, di accettare il proprio fato qualunque esso sia perché si ha il distacco dalle cose del mondo fino a diventare un Maestro che può modificare le vite degli altri nel suo servizio a Dio, conseguendo da ultimo lo stato di purezza assoluta che, ovviamente, non è descrivibile. Per realizzare questo “viaggio” è necessario risvegliare il cuore, inteso come centro dell’anima, un centro soprasensibile che, un a volta attivato, consente di percepire livelli della Realtà superiore che i comuni mortali non possono “vedere” in quanto “non già gli occhi loro sono ciechi, ma cieco hanno il cuore nel petto” (Corano, XXII, 46). Una poesia di Hallâj inizia così: “Ho veduto il mio Signore con l’Occhio del Cuore. Ho detto “Chi sei?” Egli ha risposto: “Te”. Il contatto con la divinità è un contatto d’amore, amore che molti Sufi hanno espresso nelle poesie scritte a Laylâ, personificazione dell’essenza divina. La Via del Cuore non necessariamente è una via di ascesi e di rinuncia: il Sufi partecipa alle cose del mondo, ma la sua attenzione costante è rivolta a Dio. Egli vive ma senza attaccamento, in osservanza alle parole del Profeta Maometto: “Sii in questo mondo come uno straniero o un passante”. Il percorso è più agevole e sicuro sotto la guida di un maestro spirituale, anche perché esiste il rischio di fermarsi o di ricadere negli stadi inferiori. Le confraternite Sufi hanno al vertice un tale maestro, lo sheikh, che si ritiene abbia raggiunto l’unione con Dio ed sia quindi in grado di guidare i discepoli verso tale meta. Il maestro riceve da Dio la baraka, la “grazia”, energia spirituale che contribuisce al progresso del discepolo (ricordiamo che si deve attivare la funzione intuitiva dell’essere, cosa difficilmente attuabile con gli strumenti mentali). Coloro che hanno già percorso alcune tappe della Via sono considerati “iniziati” e frequentano regolarmente il maestro che dà loro un insegnamento personalizzato, mentre gli altri discepoli sono legati in modo meno stretto al maestro e spesso si limitano ad assistere alle preghiere collettive. Anche se le confraternite sono numerose e differenti tra loro per metodo e rituali, il rito di base è sempre il dhikr, cioè la ripetizione rituale di un Nome Divino, di una preghiera o di un passo del Corano, a cui si possono accompagnare suoni e movimenti. Nell’Islam il linguaggio ha un’essenza metafisica: Dio ha creato il mondo con la parola e quindi la ripetizione delle parole consente al credente di accedere all’energia divina che struttura il mondo. Per questo la scelta dei vocaboli nei testi Sufi, incluse le poesie, non è mai casuale e purtroppo le traduzioni non possono veicolare la forza trascendente degli originali. La stessa definizione di “Sufi” sembra derivare dal nome di un tessuto di lana (l’abito indossato dai Sufi), ma la radice araba ha, secondo la scienza delle lettere, un’identità nascosta con la radice che significa “purezza”, puro, cioè, nel senso di purificato, come il grano setacciato e separato dalla pula. I Sufi parlano spesso per parabole e di solito il vero significato delle loro “storielle” va ben oltre quello letterale. Allo stesso modo essi distinguono 7 livelli di lettura del Corano (lo stesso numero degli stadi della coscienza umana). Jalâl âl Din Rûmî (1207 – 1273), da cui è originata la confraternita dei Dervisci Rotanti, ha scritto il suo capolavoro, Mahtnawi-i-Manawi (Distici Spirituali), solo apparentemente come una forma convenzionale di poesia; in realtà è una espressione artistica particolare creata per veicolare significati che non hanno corrispondenze nell’esperienza umana ordinaria, come egli stesso ammetteva. Considerato il Dante Alighieri dell’Islam, Rûmî afferma che l’essere umano ordinario, indipendentemente dalla sua riuscita nella vita terrena, è immaturo a livello mistico, ma può progredire per realizzare in pieno il proprio destino. A questo fine, però, le religioni organizzate, che hanno perso di vista lo spirito dei maestri a cui si ricollegano, possono essere di ostacolo perché, cadendo nella presunzione della superiorità morale, creano un “Velo della Luce” che rappresenta una barriera persino più pericolosa del “Velo del Buio” creato nella mente dal vizio. Lo studio del dogma non aiuta poiché si tratta di definizioni di cose di cui non c’è equivalente in Terra e quindi sono idee approssimative di qualcos’altro. La comprensione può avvenire solo attraverso l’amore. Nel Fihi Ma Fihi (“In esso ciò che è in esso”), il libro che raccoglie i suoi insegnamenti, Rûmî avvisa che per intraprendere la Via del Sufi il ricercatore deve rendersi conto che non è libero come pensa poiché ha tutta una serie di condizionamenti (idee fisse, pregiudizi, automatismi) spesso derivanti dall’educazione a cui è stato sottoposto. Per poter comprendere deve quindi innanzitutto smettere di pensare che capisce e capire veramente, andando oltre l’uso della logica che gli è stato insegnato : “Se segui i modi in cui sei stato addestrato, che puoi aver ereditato, per non altra ragione che questa sei illogico”. A conclusione, una poesia di Ibn ‘Arabi, maestro di Rûmî, che ben riassume lo stato di coscienza di chi si è “avventurato” per la Via del Cuore:



Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma
è un pascolo per le gazzelle,
un convento per i monaci cristiani
è un tempio per gli idoli,
è la Ka'ba del pellegrino
è le tavole della Torah,
è il libro del Sacro Corano.
Io seguo la Religione dell'amore,

quale mai sia la strada
che prende la sua carovana:
questo è mio credo e mia fede.

Laa ilaha ill’ Allah

Stella Maris


Le principali fonti bibliografiche:

Martin Lings, Iniziazione al Sufismo, Roma, Edizioni Mediterranee, 1997

Indries Shah, The Sufis, London, The Octagon Press, 1989

Jolanda Guardi, La medicina sufi, Xenia, Milano, 1997

Pierre Lory, “Le Soufisme. La mystique de l’Islam”, in Les texts fondamentaux de la pensée en Islam, Paris, Le Point Hors-Série n. 5, Nov./Dic. 2005, pp. 75-77

Elif Shafak, Le quaranta porte, Milano, Rizzoli, 2009

www.sufi.it (qui si può ascoltare la recitazione del dhikr)

Si consiglia l’ascolto della canzone “The Mystic’s Dream” di Loreena McKennitt



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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)