- Mi piace ascoltare prevalentemente jazz, ma questa affermazione è
priva di significato per i confini
sempre più imprecisabili di questo genere; opportunamente Alessandro Baricco ha
osservato: “…quando non sai cos’è, allora è jazz…”. Ho in passato apprezzato molto
la musica reggae, e, in particolare, le performances della sua icona Bob Marley, non solo per le doti artistiche, ma anche per la sua umanità e per la travolgente giovane cultura
giamaicana che soffiava nei suoi concerti. Un discorso su Bob Marley deve necessariamente
iniziare da una data: il 5 dicembre 1975. In quel giorno uscì il famoso album
‘Bob Marley and the Wailers. Live!’, che riproduceva lo storico e leggendario
concerto che l’artista giamicano e la sua band (in proposito, wailers può essere tradotto con
il termine ‘piagnoni’) tennero al Lyceum
Ballroom, nel centro di Londra, vicino allo Strand, il 19 luglio dello
stesso anno. È disponibile anche il video, con alcuni brani non contenuti
nell'album. Allora, adolescente anglofilo, ero in vacanza a Londra e
alcune settimane dopo in quell’impianto ho assistito all'esibizione
dei Rainbow, il gruppo fondato da Richie Blackmore, ex leader dei Deep Purple. Il
concerto di
Marley fu un memorabile successo
internazionale e gli attribuì una grande notorietà; prima era conosciuto prevalentemente solo da cultori e da ‘palati fini’.
Il concerto venne replicato il giorno successivo. In entrambe le serate la sala
fu stracolma e i musicisti ebbero difficoltà a raggiungere il palco. La moglie
di Marley, Rita, che in quel momento era una corista, profeticamente,
guardando teneramente il marito, esclamò: “Finalmente ce l’abbiamo fatta!”. Il
concerto iniziò con il brano Trenchtown Reggae, che parlava del malfamato
quartiere-ghetto di Kingstone dove Matley era cresciuto. Indimenticabile è una frase
di quella canzone: One good thing about music, when it hits, you fell no
pain (una delle cose belle della musica è che, quando ti colpisce, non ti
fa male). Di Trenchtown Marley diceva: “Trenchtown non è in Giamaica,
Trenchtown è ovunque, perché è il luogo da cui vengono tutti i diseredati,
tutti i disperati, perché Trenchtown è il ghetto, è qualsiasi ghetto di
qualsiasi città... E se sei nato a Trenchtown, non avrai la benché minima
possibilità di farcela”. Il
mondo stava scoprendo quell’affascinante artista. Insieme a tanti appassionati
di musica rock c’erano molti Black British, così venivano definiti i
figli della prima generazione di migranti giamaicani nati in Inghilterra; a
loro il concerto fece sentire sulla pelle i brividi ancestrali delle
suggestioni della loro cultura di provenienza. Inoltre, per gli emarginati dai
pregiudizi, quella sera aveva il sapore di un riscatto,
perchè la loro storia e le loro radici, condivise con quell’eroe,
erano motivo di orgoglio. Anche Bob era un Black British: nacque
infatti in Giamaica, nel 1945 da padre
britannico e da madre giamaicana. Per queste origini razziali miste fu vittima di pregiudizi. In proposito
ripeteva: “Io non ho pregiudizi
contro me stesso. Mio padre era bianco e mia madre era nera. Mi chiamano
mezzosangue, o qualcosa del genere. Ma io non parteggio per nessuno, né per
l'uomo bianco, né per l'uomo nero. Io sto dalla parte di Dio, colui che mi ha
creato e che ha fatto in modo che io venissi generato sia dal nero che dal
bianco.” L’ascesa di Bob Marley fu in un certo senso preannunciata dal
successo che alcuni mesi prima conseguì Eric Clapton incidendo un suo brano, I
shot the sheriff. Bob Marley era di fede religiosa rasta. Il Rastafarianesimo
deriva il suo nome da Ras Tafari,
l'Imperatore che salì al trono d'Etiopia nel 1930 con il nome di Hailé
Selassié, riconosciuto come
l’incarnazione di Gesù Cristo nella Sua Seconda Venuta. Questo
culto, che auspicava il ritorno dei neri in Africa per riappropriarsi della
propria terra, deve a Bob Marley la sua popolarità negli anni ottanta. Diceva Marley:
“Voglio muovere il cuore di ogni uomo nero perché tutti gli uomini neri
sparsi nel mondo si rendano conto che il tempo è arrivato, ora, adesso, oggi,
per liberare l'Africa e gli africani. Uomini neri di tutto il mondo, unitevi
come in un corpo solo e ribellatevi: l'Africa è nostra, è la vostra terra, la
nostra patria ... Ribellatevi al mondo corrotto di Babilonia, emancipate la
vostra razza, riconquistate la vostra terra”. Nelle sue interviste era
difficile comprenderlo, perché si esprimeva in patois, il linguaggio dei
diseredati giamaicani, ricco di ritmo e musicalità. Nel concerto di Londra furono
eseguiti tanti brani che poi divennero famosi, ma il momento di più alta
emozione fu quando Bob Marley regalò al pubblico un’intensissima versione di
No woman, no cry, forse il suo brano più famoso,
una canzone d’amore
che gli ricordava i tempi della sua povertà nel ghetto di Trenchtown,
scritta o ispirata forse da un suo amico, Vincent Ford, a cui si dice che Bob
abbia ceduto, come favore personale, ogni diritto e royalty conseguita
dalla canzone. Alla fine la cosa buffa fu che Vincent Ford si coinvinse di
essere l’autore del brano. Marley ogni giorno riceveva migliaia di diseredati
che avevano bisogno di soldi, per mandare avanti la famiglia, per far studiare i
figli. Poi giocava estenuanti partite di calcio, la sua grande passione dopo la
musica. Questo era Marley, un uomo semplice e generoso, un grande artista, un
grande uomo, che guadava lontano con i suoi occhi fissi e il suo sguardo penetrante
diretto verso l’indefinito. Norman Mailer diceva che Bob Marley era come il
leggendario Mohammed Alì, un grande campione della gente, un grande campione
per la gente. Un ultima cosa: sempre in quell’anno, nel 1975, Bob Marley and
the Wailers tennero un concerto a New York che fu aperto dall’esibizione di un
giovane ritenuto dai critici un talento promettente. Il suo nome era Bruce
Springsteen. ROBERTO RAPACCINI
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392. LUGLIO 1975: IL VENTO DI GIAMAICA INEBRIA LONDRA di Roberto Rapaccini
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(Carl Gustav Jung)

1 commento:
Grazie Roberto per aver riproposto la figura di Bob Marley. Io stessa, dopo la lettura del tuo pezzo, sono andata a rinfrescarmi la memoria. Non aggiungo altro perchè il tuo pezzo è esaustivo e suscita parecchie riflessioni e suggestioni. Ogni altra aggiunta sarebbe ridondante.
Dico solo: grande BOB!
Chiara P.
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