A parere di alcune studiose il dilemma tra uguaglianza e differenza ha
caratterizzato l'intera storia del femminismo, in un'oscillazione irrisolta,
ancorché fortemente conflittuale, tra rivendicazioni di uguaglianza e
affermazioni di differenza, tra la richiesta di 'diritti uguali' (agli uomini)
e quella di 'diritti delle donne'. Tale dilemma ha rappresentato non solo
posizioni politiche storicamente forti e irriducibili l'una all'altra, ma anche
due posizioni teoriche divergenti e ineludibili: rischiose nella loro
parzialità, ma ancora più rischiose se trascurate l'una per l'altra, come la
storia più o meno recente testimonia. L’affermazione della differenza può
portare all’emarginazione politica e sociale e viceversa l'affermazione dell'uguaglianza
costringe le donne a comportamenti e attese sviluppati a partire
dall'esperienza maschile - dagli orari di lavoro, ai ritmi delle carriere, fino
alla sessualità. Si possono ricondurre al polo dell'uguaglianza tutte le
posizioni che rivendicano uguali diritti e negano la possibilità di attribuire
a priori alle donne non solo responsabilità, ma capacità e desideri diversi
dagli uomini, e che attribuiscono ogni differenza nelle capacità e nelle aspirazioni
agli effetti della divisione sessuale del lavoro da un lato, e dei processi di
socializzazione dall'altro. "Donne si diventa", scriveva negli anni quaranta Simone de Beauvoir. Chi insiste sull'uguaglianza nega soprattutto
che le differenze
biologiche tra i sessi possono costituire un principio di
differenziazione sociale a priori. Viceversa, sono riconducibili al polo della
differenza coloro per le quali il dimorfismo sessuale produce mondi culturali,
capacità psichiche, sistemi di simbolizzazione, totalmente distinti - sia che
questi vengano radicati nell'esperienza materna, secondo una tradizione che
parte dall'Ottocento e viene ripresa e aggiornata da alcune femministe
contemporanee che parlano di "pensiero materno", come Susan Ruddick ,
sia che vengano invece radicati nella sessualità, come in modo diverso sostengono
Adrienne Rich , Mary Daly , le femministe francesi del gruppo Psychoanalyse et Politique, Luce Irigaray. Queste teoriche,
mentre assegnano alle donne particolari caratteristiche culturali e morali,
rivendicano per esse la possibilità di esprimere con piena legittimità e
autonomia la propria cultura come irriducibile e assolutamente distinta da
quella maschile. Nel dibattito recente la questione uguaglianza/differenza - e
quella connessa su cosa sia la donna,
e cioè
se è possibile parlare della 'donna' e non solo delle donne - sembra tuttavia
essersi spostata o ridefinita. Il femminismo contemporaneo infatti è nato come critica a un'emancipazione ancora
largamente vincolata e carente, e insieme come critica al modello emancipativo
stesso. Le parole d'ordine erano quelle della 'liberazione', non della
'emancipazione' della donna, e il modello maschile veniva negato come valore, a
partire dalla riflessione sui costi dell'oppressione della donna, ma anche
della repressione di bisogni e di desideri, che esso imponeva. Là dove il
terreno dei rischi dell'uguaglianza è stato ampiamente esplorato, la
riflessione e il dibattito si sono spostati sul significato della differenza;
cioè la questione si è spostata sempre più dal terreno dei diritti da
rivendicare a quello della definizione del soggetto di questi diritti - la
donna appunto. Paradossalmente, man mano che le donne vanno facendosi sempre
più visibili nelle società dell'emancipazione parzialmente realizzata, il loro
stato teorico non appare più ovvio, scontato. Recentemente alcune studiose hanno suggerito
che si debba rivedere l'intera vicenda del femminismo come oscillazione tra
uguaglianza e differenza. In tal modo si darebbe conto non solo della
complessità del fenomeno a livello politico, ma dello sforzo teorico che ha caratterizzato
il femminismo lungo tutta la sua storia. Più che il dilemma tra uguaglianza e
differenza, secondo questa interpretazione, le diverse posizioni teoriche e politiche
espresse dal femminismo testimonierebbero i tentativi di esplicitare e
articolare, oltre che di risolvere praticamente, il 'dilemma della differenza'.
Per uscire da questo dilemma (che peraltro riguarda anche altre differenze, ad
esempio quelle di razza) occorre non tanto opporre differenza a uguaglianza, e
strategie della differenza a strategie dell'uguaglianza, quanto pensare
diversamente i due termini di questa apparente dicotomia, e la loro relazione,
a partire da un'analisi critica di come i due termini sono stati costruiti.
Anche in questo caso mi sono avvalsa degli scritti di Chiara Saraceno
una delle sociologhe italiane più note e dalla quale molto ho ripreso nella
scrittura del precedente pezzo sulla storia del femminismo. CHIARA PASSARELLA
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