parte successiva. L’assolo di chitarra, molto conciso,
è diviso anch’esso in due parti, la prima meno virulenta, la seconda più d’attacco.
“THE PLAGUE” inizia la fase più pensata del disco. Maggiori cambi di ritmo e
maggiore intensità emotiva, e aumentando anche il pathos si dona un che di
epico. “THE BACKSTABBER” parte veloce, ed è proprio la ritmica a deciderne
forza e incisività. Il riffing infatti non è particolarmente caratteristico.
Eppure l’insieme è ottimo, con un ritornello che, tra virgolette, può essere
considerato orecchiabile (per gli standard dei Subliminal), nel senso di più
morbido rispetto al contesto, ma permane quell’aurea corrosiva che la band
sottolinea continuamente. Cambi di ritmo e parti diverse tra loro ne fanno uno
dei pezzi migliori. “RELEASE THE UNSAVED” è molto molto dentro i canoni del
Thrash tradizionale usando anche la voce in meno roco, ma riesce a non apparire
vintage anche se ci vedo un sano accostamento ai Metallica in alcuni passaggi,
soprattutto nello pseudoritornello (“Sharpen
yor knife,….release the unsaved”). “I AM THE ONE” è il lato più scuro,
se possibile, del lavoro. Quasi si cerca
la melodia nel ritornello pur mostrando esplicita dissonanza, efficace e
d’effetto. Si sfiora il Black Metal sul finale. “LOCKED IN” è il primo di due
brani lineari che però risultano meno semplici di quelli dell’inizio album.
Questo è un pezzo piuttosto dinamico dove il groove è in primo piano, in una
strutturazione abbastanza classica Thrash Metal. E’ la song che mi piace di più
di questo lavoro. Me la immagino live e già pregusto lo scatenamento.
Soprattutto c’è il migliore assolo dell’album, perfettamente di valore in sé
stesso. “CAN’T FALL” mi sembra la song più cattiva di un disco già di per se
cattivissimo. Tale effetto è raggiunto soprattutto dalla tipicizzazione vocale
del singer Steph che riesce ad essere fortemente e cupo. Fin qui il meglio.
Quelli che considero minori fanno però bella mostra di sé nell’essenza
dell’opera, senza annoiare mai e lasciando sempre il segno: “One man disorder”
è l’impatto con cui si apre l’album. Il bel groove intrigante è spento da una
linea cantata solo parzialmente riuscita. In mezzo, il momento con l’assolo
risulta evocativo. Ma rimane comunque un pezzo che non starebbe male in
concerto. “Three steps to slay” è il pezzo più punk-core del lavoro. Velocità e
cantato urlato che dove rallenta perde un pò di smalto. Il finale è piacevolmente
oscuro e decadente. “Useless people” utilizza anch’esso il senso claustrofobico
del punk-core misto a DeathMetal anche se una tastiera di fondo cerca un minimo
di ampiezza in un ritornello quasi metal-core. L’assolo apre una visione
leggermente più chiara rispetto al senso fin qui claustrofobico, terminando il
brano. “Blurred” presenta un iniziale chiosa acustica, attenzione è un bluff,
subito l’urlo corrosivo chiarisce l’ambientazione che è sulfurea; il cantato
appare leggermente più pulito. Si, la violenza è mitigata, ma è assolutamente
assente la dolcezza. Possiamo vederci un minimo di Grunge? Si ma senza esserne
la chiave di lettura del brano. Se si cerca la ballata, questo è il massimo che
la band può offrire. “Meat cleaver” è uno dei brani più strettamente Thrash
anni ’80, e forse anche il più avvicinabile al primo album della band. Forse
per questo un po’ meno originale, ma senza difetti stilistici. Uno stile
assolutamente Thrash Metal che si ammanta di molto Punk-core, quello urlato e sussultato.
Possiamo trovare altre sonorità tra il Death, il Black ma il Thrash rimane la
linea seguita. Assolutamente un album (il terzo della loro discografia)
riuscito, dove la potenza è coniugata continuamente con la furia cattiva. Dopo
solo due ascolti si è già dentro il suo magma elettrico, e si riesce a vivere
il feeling appieno. Rispetto al disco del 2011, “Evilution”, sia valutandolo di
testa con l’analisi della struttura che di cuore lasciandosi andare, mi sembra
leggermente migliore questo nonostante siano assimilabili sia nello stile che
concettualmente. “Newmanity risulta più compatto, ma forse anche più ricercato
nelle linee vocali. Se in alcuni frangenti quell’album aveva dei pezzi dal
riffing molto intrigante, qui è meglio caratterizzato il song-writing e rimane
stampato in testa con maggior incisività. Peccato aver tirato il freno a mano
per ciò che concerne gli assoli, eppure quando presenti fanno vedere la
capacità tecnica e l’intuito compositivo dei musicisti, che quindi sarebbero in
grado di offrire di più. La voce è cresciuta rispetto all’altra prova, la
rabbia è ben espressa con l’aver cura di imprimere forza ed essendo lei più
estrema dell’arrangiamento strumentale stesso, donando
sempre brutalità, ma
spesso con un certo spessore che va oltre i semplici gutturalismi, anzi, nelle
urla e nell’imprimere tono si percepisce grande sensibilità; il growl è vicino,
ma solo sfiorato. Io comunque rimango legato al loro primo full-lenght
“Antithesis” del 2005 che non riesco a vedere come minore rispetto ai due
successivi, anche se si sente che il suono è meno moderno. Si può parlare di un
gruppo che mai ha sfornato composizioni mediocri. Concludendo è chiaro che
l’opera non aggiunge nulla al genere suonato dal punto di vista della novità
stilistica, ma apporta comunque la personale interpretazione in tale contesto
come si era già evidenziato col lavoro precedente, creando nuove belle song
senza essere una evoluzione, ma più che altro una conferma di ciò che avevano
espresso in passato. A Terni forse oggi rappresentano la realtà più
avanzata (anche dal punto di vista della
produzione tecnica) realizzando un album che non sfigura coi dischi delle band
di più alto blasone. Sky Robertace
Latini
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