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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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195. RECENSIONI 2012 - BAND ALBUMS di Sky Robertace Latini
Non credo che basti essere duri e puri per sfornare
grandi dischi. Questo degli Asphyx è un lavoro dignitoso, ma non certo da
osannare come ho visto fare da certi recensori. Buoni spunti creativi, ma il
tutto si perde in un amalgama troppo compatto. “INTO THE TIMEWASTE” ti assalta con velocità e
impatto immediato. Ritmo serrato con nero groove bello rovente. Poi il basso
distorto annuncia il rallentamento in un middle-time dove chitarra ritmica e
batteria sostengono la struttura. “DEATHHAMMER” è la naturale prosecuzione del
brano precedente, se possibile la ferocia è aumentata. Feeling disperato e
annichilente. “REIGN OF THE BRUTE” è uno dei pezzi più semplici del disco, ma
di immediata assimilazione, durissimo e quasi punk-metalcore. Chitarra
rotolante incandescente. “THE FLOOD”
parte con un middle-time ma non per questo è meno brutale. I cambi di ritmo
rendono la canzone dinamica. Leggermente motorheadiana. “WE DOOM YOU TO DEATH”
è forse il miglior momento dell’album. La coincidenza vuole che sia il meno
veloce e quello più legato al doom dei Black Sabbath. Pesante, ruvido, molto
dark, riff avvolgenti, e anche quando il ritmo aumenta non perde la collosa
vischiosità che lo rende ipnotico e affascinante. Per questo nono album (dal ’91) suono
pastoso, sul punto di fusione, e una voce cavernosa. L’atmosfera globale è
anche intrigante ma non è sufficiente l’ottima tecnica a regalare gli
emozionanti passaggi che ci vorrebbero. Un DeathMetal con alcune grasse zampate
ma senza grandi song, nella scia di quello più classico del genere. Qualche
inserto Doom o Black per scurire il tutto, ma sennò lineare.
“PLUNGING INTO DARKNESS” Fueled By Fire (dagli Stati Uniti) - 2012
Classico, classicissimo Thrash Metal senza fronzolo
alcuno. A volte più Exciter, a volte più Metallica, e magari anche Anthrax del
primo album, in poche parole tutto contenuto nella tipologia anni ’80, quella
più violenta di quel periodo. Solo due lavori in sei anni circa, ma questo vale
per due. “THE ARRIVAL” è un dinamico
strumentale, basato sulla chitarra solista, sul tipo di “Dialectic chaos” brano
dei Megadeth del 2009, che lì nell’album “Endgame”, come qui in questo, apre
l’album. “RISING FROM BENEATH” è veloce,
fresco, divertente. Ritmo sostenuto e assolo che più speed non si può. “WITHIN THE ABYSS” usa i riff tanto cari ai
Metallica dei primi tempi. Cori e urletti efficacissimi. “PLUNGING INTO
DARKNESS” è la title-track, e se il compito della title-track è quello di
rappresentare bene un disco, questa fa proprio il suo dovere. Velocità, tempi
meno veloci, urla poderose e urletti più schizzati, assolo lacerante e riffing
a tavoletta. Tutto messo nella stessa furibonda distruzione. “EYE OF THE DEMON”
pareva voler essere meno veloce, invece poi si attizza subito e via, giù a
perdicollo. Uno dei migliori assoli di chitarra, fluido e caldo. EVOKE THE CURSE” appare come il pezzo più duro e
violento, con un pizzico di cattiveria in aggiunta. Le urla sono bellissime, come quelle di una
volta, quel tipo che appare poco tecnico
ma che bisogna “saperci fare”. Le composizioni non utilizzano il groove che
piace tanto oggigiorno, ma lo sferragliamento chitarristico che serve per
compattare tutto in modo iperveloce. Non c’è il blasting furioso che caratterizza tanti gruppi attuali, ma in modo
freddo e anche più leggero, invece qui la batteria è pesante e incisiva. Cosa c’è di originale? Nulla, ma l’ascolto
scorre via con euforica adrenalina. Nessuna pesantezza ma mazzate su mazzate,
senza soluzione di continuità, nella più classica delle scorribande metal. A
volte serve lasciarsi andare, che anche la semplicità è arte. Si tratta nell’insieme di qualcosa che
possiede poche varianti sia dal punto di vista strutturale che di linea vocale.
Ma afferra l’ascoltatore senza stancarlo (sempre che piaccia il genere).
“KOLOSS”
Meshuggah (from Svezia)- 2012
Solo il settimo album dopo 25 anni. Il titolo non si
riferisce a qualche significato dei testi ma al suono pesante delle
composizioni. La precisione chirurgica del groove di questo disco diventa
visionarietà fredda e angosciante, e la brutalità ancor più agghiacciante
perché appare senz’anima, volutamente asettica. Il grande lavoro strutturale
contiene originalità e tecnicismo, ma continuo a pensare che spesso il cantato
growl tende ad appiattire piuttosto che il contrario. La grande raffinatezza
della capacità strumentale non trova il corrispettivo nell’ inventiva della
linea vocale, sebbene dal punto di vista del suono sia un growl migliore di
altri. ”THE DEMON’S NAME IS
SURVEILLANCE” è un pezzo arrogante e feroce. Il ritmo medio non ne attutisce la
carica di crudele violenza.“DO NOT LOOK DOWN”
è forse il brano più vicino al metal tradizionale, con giri di chitarra
tranquilli e chitarra solista lineare. Un che di progressive metal. Se la voce
fosse stata meno presente sarebbe risultato più godibile. “THE HURT THAT FINDS
YOU FIRST” è un death metal dinamico con singulti flessuosi e morbidi nel
finale. “MARROW” va giù con ritmica
ossessione, in una meccanica propulsione in cui si sentono duri ingranaggi che
evocano dolore. La chitarra solista liquidamente olia gli accordi dove invece
la voce grumosa tende a incrostarli. Un pezzo quasi jazz nel suo iter
concettuale. Il basso s’insinua sempre
invadente con notevole efficacia, scurendo il quadro e ponendosi al posto dei
riff chitarristici; la chitarra tende più a fare tappeti o singoli giochini
interessanti. Troviamo una mescolanza di stili metal estremi che si amalgamano
bene, tra Death; Black e Industrial. Talvolta sembra di trovare qualche
incursione jazz, ma i musicisti riferiscono di non sentirsi affatto vicini a
tale musica in quanto non lasciano nulla all’improvvisazione, forse il voler
assumere connotati di astrazione è l’unica cosa che si possa definire jazz. Purtroppo la discrepanza tra creatività ed espressività
vocale è così alta che davvero è un peccato. Cattiveria e terrore non bastano a
fare della vocalizzazione un elemento artistico sufficientemente significativo;
qui l’uso della voce appare scontato. E siccome nella musica dei Meshuggah essa
vuole essere portante, l’effetto finale è fortemente penalizzato. I testi, che questa band definisce astratti,
hanno come tema il dogma, pericoloso perché sentirsi nella verità assoluta
farebbe perdere la capacità di valutare le sfumature. Nella scrittura essi dicono
di prediligere il lato psicologico delle cose.
“RELAPSE”
Ministry (dagli U.S.A.)- 2012
I Ministry
sono una One Man Band statunitense, Al Jourgensen è l’unica mente. Un tipo
particolarmente “fuori” (sono tre volte che sta per morire: per overdose; per
emorragia e per chissà cos’altro. Comunque sono dieci anni che ha smesso di
fumare)
che lavora da trent’anni nel music business (non con la stessa band) e
che riferisce di vivere al massimo e di suonare al massimo (39 pubblicazioni e
quindici tour mondiali). Infine consiglia tutti di trovare un vero lavoro e di
lasciar perdere la musica. La band è considerata la capostipite e fondatrice
dell’Industrial Metal, anche questo lavoro proporrebbe Industrial, ma
nonostante un po’ di caratteristiche computerizzate, quello che se ne evince è
soprattutto un eclettico Thrash. “GHOULDIGGERS” nomina cinque morti della
musica: JimMorrison/JimyHendrix/JanisJoplin/Kurt Cobain/AmyWinehouse in un
intro chicchierante, ma non ho approfondito perché. So solo che il chitarrismo
di fondo alla AC/DC rende la cosa intrigante. Poi parte il pezzo con una
ritmica indiavolata che colpisce nel segno. Linea vocale e struttura originale,
piena di energia. C’è anche un assolo e ciò mi ha reso felice durante
l’ascolto. “DOUBLE TAP” è un thrash con all’interno alcuni suoni pseudo-etnici che
lo rendono orientaleggiante. Un brano incisivo e ossessivo che non dà tregua.
Vive di una certa algida atmosfera per la pulizia sonora che emana, nonostante
la violenza. “FREEFALL” è una composizione velocissima e infuocata. Lineare, senza variazioni caratteriali o
strutturali. Non ci sono velleità di raffinatezza ma solo di pura feroce carica
adrenalitica. “WEEKEND WARRIOR” si snoda attraverso un riff classico e un 4/4
ben cadenzato ma non veloce. Non sceglie l’impatto immediato ma un procedere
leggermente articolato. Qui siamo più vicini al Thrash Metal, assolo compreso,
del periodo primi anni ’80, quello quasi non thrash (nel senso di essere nel
solco del passaggio fra Thrash e semplice Heavy Metal). Al centro una breve
linea vocale che muta verso lidi punkeggianti. “GIT UP GET OUT ‘N VOTE” è un brano semplice; ma grazie al ritornello da cantare in coro ai
concerti, è anche divertente. La chitarra che si insinua con lunghe note
aumenta l’intensità della canzone. Il testo esorta la gente ad andare a votare,
egli crede ancora nell’unione che fa la forza e vuole spingere a combattere
l’apatia. I testi protestano, i presidenti americani sono sempre un suo
pallino. In questo disco (il
quindicesimo della sua discografia dagli anni ‘80) c’è anche un brano,
“99percenters”, in cui Al parla del movimento di protesta che occupò Wall
Street; cosa che gli ricorda quando lui andava ai sit-in dal 1968 in poi, sin
da piccolo coi suoi genitori. Un disco piuttosto interessante che riesce a
offrire quella originalità che non tutti possiedono, uscendo fuori dai clichè.
Leggendo alcune recensioni viene fuori che l’inventiva è poca, a me non pare.
In ogni caso ho l’impressione che molti giornalisti invochino spesso nel una
periodo statico, quando a me pare molto
dinamico, come questo album sta a dimostrare. Bè, i Ministry, anzi, Al, sa
darci dentro nel modo giusto.
“HELL TO THE HOLY” Mpire Of Evil (from England)- 2012
I Venom
(1981) nacquero dopo i Motorhead (1977). Vista da questo punto di vista, possiamo dire
che Mantas Dunn, chitarrista fondatore dei Venom, con la sua nuova band fa un
passo indietro stilisticamente. Ma in realtà la scelta è azzeccata, perché
questo album possiede il piglio giusto e l’ispirazione adeguata. La sonorità è
a metà strada tra i due gruppi, ma forse con la predilezione per la sonorità
dei Motorhead (“Snake Pit”; “All hail”) piuttosto che per quella della propria
band madre; e questo nonostante vi siano dentro altri due componenti dei Venom. La truce e blasfema efferatezza sonora dei
Black-metaller Venom lascia spesso il posto alla rock’n’rolleggiante rozzezza
dei Motorhead di Lemmy, in cui anche la voce roca pare fargli il verso. E il risultato è divertente, efficacemente
riuscito. Un disco senza sovrastrutture, quanto piuttosto lineare e per questo
efficace, che colpisce in modo diretto. Del resto io ho sempre preferito i
Motorhead ai Venom. “HELLSPAWN” fa
iniziare l’album con un bel martellamento veloce. Riff oscuro, voce cattiva.
Qui si è ad una sfuriata ThrashBlackMetal che non lascia scampo e che scorre in
un impetuoso ed impietoso fiume nero come la pece. Assolo al fulmicotone di
vecchio stampo. Nonostante sia il pezzo migliore dell’album, ci sono altri
piaceri che attendono di essere gustati.
“WAKING UP DEATH” rimane ancora parzialmente nel solco Black. In realtà
ha molto della N.W.O.B.H.M. meno rassicurante. Un bel giro fluido di chitarra
accompagna la struttura cadenzata della canzone, i suoni sono frammenti più
interessanti della linea vocale. La parte più lenta contiene l’assolo
chitarristico. “HELL TO THE HOLY” inizia
con suoni da ambientazione funerea con campana a morto, pioggia e pianto di
donna. Si tratta di una song densa e dal middle-time vischioso. Si continua a
stare nel Black Metal. Dopo “Ellspawn” è la composizione più interesante, anche
per la gustosa interpretazione vocale di “Demolition man” Dolan. Assolo chitarristico
semi-psichedelico che ricorda molto i Motorhead. Ed ecco “SNAKE PIT”, pezzo al 100% Motorhead,
solo che non lo ha composto Lemmy. Sembra proprio di sentire Kilmister per
tonalità ma anche per interpretazione, persino nel fiato a fine parola. 4/4
tirato e ritmo rock’n’roll. Da scatenamento.
“DEVIL” è un brano non perfettamente inserito nel contesto del lavoro.
Grilli e ululati, accompagnati da una chitarra americaneggiante stile
sleaze-country-blues, fanno partire una song che con il Black metal non ha
proprio niente a che fare. Ritmo ballabile
per una canzone che pare più StreetMetal alla D.A.D. oppure nelle corde
di un gruppo come i BlackLabelSociety (oppure ancora i Motorhead). Alla fine
gran bella. “SHOCKWAVE” è velocità e
motorhediano feeling. Basso e chitarre ribassate come al solito, cascate di
riff e voce nerastra, ma siamo proprio nei primi anni ’80 per idee e per
attitudine (anche stile Tank ?). “Metal
Messiah” lo considero minore perchè troppo vicino al cantato di un brano dei
Judas Priest.Certo i Venom hanno inventato un genere: il Black Metal. Ma qui di
Black non c’è né molto, se non di struscio, troviamo invece un rock duro vicino
alla NewWaveOfBritishHeavyMetal, che viene reso in maniera personale e
sufficientemente energico pur potendovi trovare molti elementi altrui. Ho voglia di risentirlo.
“UTILITARIAN”
Napalm Death (from England)– 2012
Questi
inglesi sono i fondatori del Grind-core, e sanno ancora come si fa un disco,
del resto siamo al quindicesimo in venticinque anni (in realtà hanno prodotto
demo dall’82, per cui compongono e pubblicano musica da trenta). Macinano riff
e schiacciano l’ascoltatore con i loro cingoli in distorsione. Chi si aspetta
il metal classico, in cui in qualche modo si percepisca un minimo di quel
bluesato che ne è un ingrediente, non deve ascoltare questo gruppo, che è uno
dei più estremi esistenti. Sono estremi ma vi si riconosce il punk, perciò mi
piacciono; in effetti il loro è un death metal, che però, cantato alla punk
costringe l’arrangiamento a strutturarsi diversamente (diventando appunto
grind-core). E poi sono raffinati in quelle tracce costruite in maniera più
complessa. “ERRORS IN THE SIGNALS” subito si scatena in vomiti e scartavetrate
veloci. Ma stacchi e cambi di ritmo arricchiscono la composizione di riff
interessanti. Il cantato non è fine a se stesso ma bene messo al servizio della
struttura compositiva, urla comprese. “THE WOLF I FEED” è il pezzo più
complesso, lo screaming poco usato nell’album, qui prende possesso in pieno del
brano ma c’è anche un oscuro cantato a voce limpida che rende liquida
l’atmosfera. Un episodio musicale piuttosto creativo dove si trovano assemblati
momenti diversi fra loro. “QUARANTINE” è
un iperveloce metalcore che però non preme sempre sullo stesso tipo di
accelerazione. Al centro crea riff meno scuri ma comunque ossessivi. Bella
mazzata ferrata. “FALL ON THEIR SWORD” è un altro feroce assalto, ma la
velocità non è forsennata. Al centro un coro darkeggiante che crea un ambiente
sacrale e di potente magia, prima di scatenarsi in un furioso blasting senza
speranza. “COLLISION COURSE” è più classicamente Heavy Metal, un po’ Death, un
po’ Black. Una cavalcata adrenalitica che affonda in un vortice di energia
pura. “LEPER COLONY” è violentissimo e
anche gelido. Un grindcore soffocante ma ipnotico. Pura distruzione, puro sgretolamento. I brani che ho considerato migliori sono
quelli più variegati, in essi si trova lo spunto personale, mentre gli altri
sono troppo monocordi e anonimi. Colpa spesso di riff scontati e semplici e di
un cantato piatto, semplicemente urlato. Modalità compositive che andavano bene
anni fa ma che ora hanno detto già tutto.
“THE ELECTRIC AGE” Overkill (from USA)-2012
La patria del Thrash è l’America. Da New York gli
Overkill continuano ad impazzare bellamente fregandosene dei trend. Rimanendo
nella loro specifica tradizione anni ’80, sono riusciti comunque e esprimere
bellissime composizioni. Durezza tagliente e tecnica incisiva per una
ispirazione e passione inalterata. “COME AND GET IT” parte con un intro epico
ma quando si apre il rubinetto precipita giù acqua bollente. Via a tutta
velocità e il 4/4 non aspetta ritardatari. Il ritmo rallenta e i cambi di ritmo
si sprecano dando spazio anche ad un carinissimo seppur breve assolo. “ELECTRIC
RATTLESNAKE” sembra presentarsi con un riff già sentito (forse i Metallica?),
poi me ne scordo e godo del percorso sonoro che mi scuote e mi elettrizza con
la sua parte veloce, quella middle-time e quella con assolo chitarristico
ficcante. “WISH YOU WERE DEAD” è una saetta che non concede molto alla varietà,
si tratta di un compatto pezzo durissimo scatenato. “BLACK DAZE” poteva essere suonato
anche da gruppi non thrash. Ottimo pezzo cadenzato che serve ai fan per
muoversi a tempo con i musicisti. “SAVE YOURSELF” è una lineare quanto
scatenata track dall’attimo sfuggente. Pogare è d’obbligo, non facciamoci
fuggire quel cavolo di attimo. “ALL OVER BUT THE SHOUTING” scivola via serrata
e senza cedere mai, con un ritornello divertente. Vogliamo dirla tutta? L’ottima voce acuta di
Bobby “Blitz” Ellsworth sembra quella di Udo e anche i cori, quando ci sono,
fanno venire in mente i tedeschi Accept. Ma qui non cerchiamo novità visto che
troviamo comunque freschezza ed energia ed una vena ironica. Troviamo testi
leggeri (prendersi ciò che si desidera) ma anche seri. (minori contatti fisici
per via della comunicazione tramite computer o la crisi economica che porta via
il lavoro alla gente). Che bello l’Heavy
Metal, il disco è proprio elettrico come dice il titolo.
Sky Robertace Latini
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