gruppo è richiamato anche dal modo simile di incastrare le variazioni sul tema. Il ritornello è un angoscioso ululare pieno di pathos, pathos che si evidenzia intenso per tutta la durata della traccia. In linea con il titolo, si sente anche il respiro di un uomo che rabbrividisce. Segue subito un’altra brillante perla: “BLACK CLOUD”. Più rock, è un thrash che si spiattella nel cranio con irruenza e decisione. Headbanging a tutto andare, ritmo serrato e riffing roboante; ma tutto si regge grazie soprattutto alla parte cantata, rabbiosa al punto giusto. “BLACKENED EYES STARING” rotola giù pesante grazie alle chitarre ribassate e al ritmo. In realtà la parte cantata ad un certo punto rallenta portando la modalità vocale anche qui vicino ai Queensryche, per cui raffina la canzone. Il senso del rallentamento non porta però soavità, bensì tristezza e dolore. Qui l’assolo di chitarra appare leggermente più impegnativo che in altri brani. Insieme a “The cold” e Black cloud”, essa forma un terzetto perfetto. E’ in “BETTER OFF DEAD” che si trova un pochetto di “dolcezza”, o, se vogliamo, minore rabbia, dato che si tratta di un momento di disperazione straziante. L’inizio è acustico, con una chitarra e voce che tornano a portare i Queensryche; mentre il ritornello ricorda di più lo stile dei Metallica. “SECRET LIFE” è invece in assoluto il pezzo più progressive dell’album. E’ qui, soprattutto grazie ai cori, che si respira maggiormente lo stile derivato dai Queensryche. Ritmo e pause si alternano con maestria. Non si tratta di una traccia scatenata, ma di un heavy metal elegante e più tradizionale. Quando però si velocizza, sfuriando in un assolo molto bello, si va verso un power metal pieno di energia. Questo disco è solo parzialmente trash; anche se i F & J lo erano in toto, all’inizio della loro carriera, negli anni hanno saputo modulare sapientemente il loro sound violento con stimoli venuti da altre esperienze. In effetti la band è stata sempre diversa dalle altre, lavorando verso una propria caratterizzazione molto personale. Non hanno mai attirato le masse, ma la loro capacità artistica è alta, e questa opera lo dimostra una volta di più.-----------------
“THE SCOURGE OF THE LIGHT” Jag Panzer (2011)
velocità o nella durezza, ma nella linea melodica della parte cantata e dell’assolo di chitarra. Non è una ballata, ma è un pezzo composto più di testa che d’istinto, con la passione dell’intelligenza e non con il cuore nello stomaco. A dispetto dell’inizio acustico, “BURN” brucia davvero. Utilizza la rabbia, lanciandosi in una epica cavalcata metal, attraverso una voce acuta alla Halford, che cede solo nel ritornello, più ovattato. Un brano alla Judas Priest anche nel tipo di riff. Nella globalità possiede una ampiezza d’atmosfera che manca a molte altre tracce. Al centro si spezza in una vibrazione meno violenta ma più ferina. L’album termina con la più ampia “THE BOOK OF KEELS”, dal carattere medievaleggiante, anche grazie alla presenza del violino. Un bel momento epico che le voci liriche maschili e femminili trasbordano ad un certo punto verso il lato più hard che non si velocizza, rimanendo rallentato il ritmo, ma acquista un tono ipnotico e magico. Se vogliamo analizzare criticamente, i Jag Panzer ci presentano un sound collaudato da tempo, ma lo percorrono senza appiattirsi nel banale, sebbene i brani minori, non citati, talvolta incappino in piccole ingenuità, utilizzando a volte brevi passaggi non troppo originali.
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