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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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386. “WARUM?”(PERCHÉ), “HIER IST KEIN WARUM” (QUI NON C’È NESSUN PERCHÉ); IL MALE RADICALE SECONDO HANNA ARENDT di Roberto Rapaccini



L’immane tragedia di  Auschwitz  impone una riflessione sul male. Una prima considerazione spingerebbe a identificare le condotte criminali dei nazisti con il male radicale. In proposito, Kant, rifiutando la nozione di male come naturale inclinazione umana, affermava che l’uomo è consapevole della legge morale e quindi, quando si discosta con la propria condotta dalla regola, è pienamente responsabile: la colpa è il corollario della libertà di scelta. Tuttavia, si rileva che il male, nonostante non integri una naturale caratteristica dell’uomo, è una costante presenza nella società. Da questo si può paradossalmente dedurre che il male per il singolo è un fatto contingente, mentre, se riferito all’umanità, ha i connotati dell’universalità. Premesso questo, il male può essere definito radicale, in quanto  è radicato nella collettività umana a prescindere dalla specifica coscienza morale del singolo. Il male è pertanto un’entità superiore che si impone all’individuo, a cui sfugge la nozione di male metafisico, mentre ha ben chiara quella di male operato in concreto. Acquista in questa prospettiva un tragico significato la risposta che fu data a Primo Levi, al momento del suo arrivo nel lager, alla sua insistente domanda Warum?(perché): Hier ist kein Warum (Qui non c’è nessun perché). Questa frase - Qui non c’è nessun perché - introduce un’ulteriore terribile riflessione che fu sviluppata dalla studiosa ebrea  Hanna Arendt, ovvero la banalizzazione del male: il male, per questa sua ordinaria e inspiegabile costante presenza, assume di fatto una enigmatica spaventosa normalità, di cui è corollario la pessimistica conclusione per la quale il male non è il prodotto dell’agire di un mostro, ma al contrario ne può essere autore l’uomo normale, in quanto sussiste una potenziale omogeneità fra chilo compie e chi lo subisce. Hanna Arendt giunge alla conclusione che il male è l’opera di un qualunque essere umano, condizionato dai meccanismi sociali nei quali è inserito. In proposito, Primo Levi menziona l’esempio dei compiti di controllo e comando che talvolta nei lager venivano imposti ad ebrei nei confronti di altri ebrei: si tratta di un crimine particolarmente odioso  poiché si fanno diventare colpevoli le vittime stesse. Inoltre, i nazisti al processo di Norimberga cercarono di discolparsi proclamandosi passivi ingranaggi della macchina dello sterminio, cioè meri esecutori di ordini: questo, secondo Hanna Arendt, confermerebbe che i gerarchi nazisti erano dei mostri, mentre gli esecutori erano uomini normali. Tuttavia non si deve dimenticare che obbedire equivale ad appoggiare, anche se non tutti hanno le potenzialità per essere eroi e praticare una resistenza attiva (come notava don Abbondio il coraggio non ce lo possiamo imporre), o rifiutarsi  di obbedire mettendo in atto una resistenza passiva. Le fabbriche della morte infatti furono caratterizzate dall’impersonalità dei singoli comportamenti analoga a quella delle grandi burocrazie nelle quali il singolo spesso non è cosciente del significato del suo parziale contributo, la ‘parcellizzazione’ delle condotte come nelle catene di montaggio, la più spinta gerarchicità. Paradossalmente, da questo punto di vista, Auschwitz presenta i tratti della società moderna, nota Arendt. Se si porta alle estreme conseguenze questa teoria il male è un fardello che pesa su tutta l’umanità, e su ognuno in quanto membro del consorzio umano. Il lager inoltre non sembra avere una finalità specifica se non quella di essere un luogo di ‘disumanizzazione’; per questo, secondo Hanna Harendt,  il lager ha solo il fine concreto di plasmare  un’umanità diversa, analogamente a quello che si propongono le ideologie totalitariste. Infatti, se l’umanità non subisse questa spersonalizzazione, si opporrebbe al totalitarismo. Hanna Arendt partendo dall’analisi del lager come società umana elabora un concetto di ‘male radicale’ molto più articolata di quella kantiana, che consente anche di comprendere fenomeni complessi come gli elementi della società moderna e la genesi del totalitarismo. ROBERTO RAPACCINI


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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)