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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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606. Vladimir Majakovskij ‘Invece di una lettera’ di CHIARA PASSARELLA.
Invece di una
lettera
Il fumo del tabacco ha roso l'aria.
La stanza
è un capitolo dell'inferno di Kruchenych.
Ricordi?
Accanto a questa finestra
per la prima volta
accarezzai freneticamente le tue mani.
Oggi, ecco, sei seduta,
il cuore rivestito di ferro.
Ancora un giorno,
e mi scaccerai,
forse maledicendomi.
Nella buia anticamera, la mano, rotta dal
tremito,
a lungo non saprà infilarsi nella manica.
Poi uscirò di corsa,
e lancerò il mio corpo per la strada.
Fuggito da tutti,
folle diventerò,
consunto dalla disperazione.
Ma non è necessario tutto questo;
cara,
dolce,
diciamoci adesso addio.
Il mio amore,
peso così schiacciante ancora,
ti grava sopra
lo stesso,
dovunque tu fugga.
Lasciami sfogare in un ultimo grido
l'amarezza degli offesi lamenti.
Se lo sfiancano di lavoro, un bue,
se ne va
ad adagiarsi sulle fredde acque.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c'è mare,
e dal tuo amore neanche col pianto puoi
impetrare tregua.
Se l'elefante sfinito cerca pace,
si stende regalmente sulla sabbia arroventata.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c'è sole,
e io non so neppure dove sei e con chi.
Se così tu avessi ridotto un poeta,
lui
avrebbe lasciato la sua amata per la gloria e
il denaro
ma per me
non un solo
suono è di festa
oltre a quello del tuo amato nome.
Non mi butterò nella tromba delle scale,
non ingoierò veleno,
non saprò premere il grilletto contro la
tempia.
Su di me,
al di fuori del tuo sguardo,
non ha potere la lama di nessun coltello.
Domani dimenticherai
che ti ho incoronato,
che l'anima in fiore ho incenerito con
l'amore,
e lo scatenato carnevale dei giorni irrequieti
scompiglierà le pagine dei miei libri
Potranno mai le foglie secche delle mie parole
trattenerti un momento
per aspirare avidamente?
Ma lascia almeno
ch'io lastrichi con un'ultima tenerezza
il tuo passo che s'allontana
Vladimir
Majakovskij
Vladimir
Majakovskij è una delle voci poetiche più belle della Russia dei primi del
Novecento: considerato il poeta della Rivoluzione, fu interprete della cultura
russa post rivoluzionaria. Il poeta si suicidò sparandosi al cuore il 14 aprile
1930. I motivi del gesto sono stati ricondotti alla delusione politica che il
poeta provò per gli esiti della rivoluzione e al suo amore per l’attrice di 22
anni Veronica Polonskaj, che non accettò di divorziare dal marito per stare con
lui. Molti, però, sostengono che ci fosse ben più di questo nella morte suicida
del poeta, tanto che circolano diverse teorie che mettono in dubbio il fatto
che Majakovskij abbia effettivamente compiuto l’insano gesto. Nonostante,
infatti, sia stata rinvenuta la sua lettera d’addio, molti studi hanno messo in
evidenza delle contraddizioni relative alla dinamica del suicidio, ipotizzando
che la lettera potesse essere un falso (a sostegno di tale tesi, il fatto che
riportasse la data del 12 aprile e fosse scritta a matita, quando il poeta era
solito scrivere a penna) e che servisse a coprire l’omicidio di Majakovskij.
Figlio di un guardaboschi, ebbe un'infanzia difficile e aderì subito alle idee
rivoluzionarie, tanto da essere iscritto al Partito bolscevico dall'età di 14
anni. Studiò alla scuola di pittura, scultura e architettura di Mosca, dove la
famiglia si era trasferita e dove fu costretto a interrompere gli studi a causa
dell'attività politica che gli procurò due arresti. Formatosi in Russia il
movimento cubo-futurista, Majakovskij ne fu un immediato sostenitore a fianco
di V. V. Chlebnikow, D. Burijuk e A. Kručënych e nel 1912 pubblicò,
sull'esempio di Marinetti, il manifesto Schiaffo al gusto del pubblico. Del
1913 è la sua prima raccolta di liriche, Io, cui fece seguire due anni dopo il
poemetto La nuvola in calzoni. Nel 1914 si fece notare per il dramma Vladimir
Majakovskij, testimonianza prerivoluzionaria di un autore che col poemetto
futurista Uomo (1917) e soprattutto col dramma Mistero buffo (1918) vide
l'identificazione della Rivoluzione nella nuova struttura dei propri versi e
della propria creazione teatrale. Il linguaggio dei comizi, dei giornali, della
folla esasperata è il tessuto del Mistero che è “l'urto delle classi, la lotta
delle idee”. I suoi poemi 150.000 (1921), Per questo (1922), Vladimir Ilič
Lenin (1925) e Bene! (1927) divennero canti di propaganda proletaria; le sue
opere teatrali La cimice (1929) e Il bagno (1930) sono un'acre e scoppiettante
satira del mondo piccolo-borghese. Lavoratore instancabile, nel 1923 diresse la
rivista Lef, dal 1926 collaborò alle Izvestija e alla Komsomol'skaja, dal 1930
fu l'anima dell'Associazione russa dei poeti proletari. Conscio di essere
considerato il poeta del regime, si dedicò nell'ultimo anno della sua vita al
poema A piena voce, rimasto incompiuto, l'opera sua più alta, canto epico di
un'anima anticonformista e della sua frenesia di vita che lo aveva portato a
operare ovunque la sua parola (in poesia, in teatro, in prosa, in giornalismo,
in pubblicità) potesse far esplodere nell'animo del compagno di strada il
desiderio di plasmare un mondo nuovo; quel mondo che forse, razionalizzandosi
in un enorme apparato organizzativo, soffocò l'impulso rinnovatore della
rivoluzione e tolse al “suo” poeta l'afflato di vita. Majakovskij si uccise
lasciando scritto “Scusate, non è il modo, ma non ho via d'uscita”.
Relativamente all’amore Majakovskij scrive: “L’amore è la vita, la cosa
principale: da esso si dispiegano i versi e le azioni, e tutto il resto.
L’amore è il cuore di tutte le cose. Se cessa di funzionare tutto si atrofizza,
diventa superfluo, inutile”. “Ma se il cuore funziona non può non manifestarsi
in ogni cosa, in tutte le cose”. D’accordo, niente di particolarmente nuovo,
solo che per me non era un modo di dire, perché infatti l’amore si spande
dappertutto e non è strano né casuale ritrovarlo anche nei miei poemi politici:
In Guerra e universo, 1916, un poema sulla guerra appunto, a un certo punto:
“Buongiorno , amore”/ Ogni capello colmerò di carezze/ ricciuto/ dorato …
Fioriscono i tuoi occhi, due prati!/ Ci ruzzolo dentro, /allegro
fanciullo. E in Bene, 1927, in cui si
celebra il decimo anniversario dell’ottobre, tra Kerenskij, Kornilov, lo zar
Nicola, Lenin e compagni, spuntano i suoi occhi: “Se mai ho scritto qualcosa,/ se mai
qualcosa ho detto,/ è colpa degli occhi di cielo,/ degli occhi della mia
ragazza,/ dolci e bruni.” E l’amore
si dilata, fino a diventare forza universale, cosmico, un amore-salvatore che
redime tutti: (Di questo) Lascia./
Non occorrono/ né parole/ né preghiere. Che senso ha, / se tu solo ti salvi?!/
Voglio/ la salvezza per tutta la terra priva di amore/ per tutta/ la folla
umana/ del mondo./ E però anche
l’amore, che non è solo un fatto privato, subisce la stessa sorte della
rivoluzione, che non è solo un evento collettivo: L’amore fiorisce un po’,
/fiorisce un po’ e s’aggrinza. (Amo, 1915) E alla fine, ahimè, mi rendo conto
che: (Conversazione con l’ispettore
delle imposte intorno alla poesia, 1926). Sempre meno si ama/ sempre meno si
ardisce,/ e la mia fronte il tempo/ devasta di gran corsa./ Sopravviene/ il più
tremendo degli ammortamenti,/ l’ammortamento/ del cuore e dell’anima. Comunque
tutto nella mia poesia, – rivoluzione, amore, e tutto il resto- tutti i temi
convergono su, anzi contro uno solo: la vita quotidiana. In russo ci sono due
parole per dire vita: жизнь, vita in generale e быт, modo di vivere, forma di
vita, che voi in italiano traducete con “vita quotidiana”. E’ il nemico che mi
ha sempre ossessionato, perché, nonostante la rivoluzione: Tutto è ancora
com’era,/ da secoli./ Senza frustate,/ sta salda la giumenta della vita .… Che
la vita sia macinata dal delirio/ ma non la sua, non la sua/intollerabile
voce!/ Un mese ho tributato,/un anno alla vita di ogni giorno,/soffocando io
stesso per questo delirio./ Che m’ha corroso/ la vita col fumo casalingo/
…“Sotto la bandiera rossa!/ Al passo!/ Contro la vita filistea!”/ … ,/in
autunno,/d’estate,/in primavera,/d’inverno,/di giorno,/ nel sonno,/ io odio,/ e
rifiuto tutto questo, tutto./ Tutto/ che in noi/ ha inculcato l’antica
schiavitù,/ tutto/ che, sciame di meschinità,/ s’è posato/ e si posa sulla
vita,/ persino nel nostro ordine/ imbandierato di rosso. (All’ordine del giorno, 1926). CHIARA
PASSERELLA
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