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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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579. LA PAURA DI EVA PICKOVA di Chiara Passarella
LA PAURA
Di nuovo
l’orrore ha colpito il ghetto,
un male
crudele che ne scaccia ogni altro.
La morte,
demone folle, brandisce una gelida falce
che decapita
intorno le sue vittime.
I cuori dei
padri battono oggi di paura
e le madri
nascondono il viso nel grembo.
La vipera
del tifo strangola i bambini
e preleva le
sue decime dal branco.
Oggi il mio
sangue pulsa ancora,
ma i miei
compagni mi muoiono accanto.
Piuttosto di
vederli morire
vorrei io
stesso trovare la morte.
Ma no, mio
Dio, noi vogliamo vivere!
Non vogliamo
vuoti nelle nostre file.
Il mondo è
nostro e noi lo vogliamo migliore.
Vogliamo
fare qualcosa. E’ vietato morire!
Eva
Pickova
nata
a Nymburk il 15 maggio 1929
deportata
a Terezin il 16 aprile 1942
morta
ad Auschwitz il 18 dicembre 1943
Quello della Shoah è un crimine immane
fatto di infinite incredibili vicende, tessere di un disordinato ma organizzato
mosaico messo in atto lucidamente da buona parte del genere umano in modo più o
meno attivo. La tragedia del campo di concentramento di Terezin, in cui la
crudeltà era la stessa dei molti altri campi nazisti, ci ha lasciato
testimonianze tangibili di quell’enorme sofferenza, qualcosa di cui la memoria
possa appropriarsi per ricordare ciò che il dolore insopportabile vorrebbe
rimuovere:poesie e disegni di alcuni dei 15.000 bambini che vi furono internati
e vi morirono di stenti o, se sopravvissuti a quell’orrore, sterminati ad
Auschwitz. Di quei bambini solo un centinaio furono trovati vivi e liberati
dalle truppe sovietiche l’8 maggio 1945. Terezin, fortezza settecentesca al
centro della Boemia voluta dall’Imperatore d’Austria Giuseppe II per 7.000
persone, fu modificata dai nazisti facendovi lavorare giorno e notte oltre 3000
deportati affinchè con baracche di legno e sul terreno melmoso la
capienza
aumentasse. In essa furono stipate fino a 54.000 persone contemporaneamente;
delle 140.000 circa che vi furono internate ne sopravvisse soltanto una ogni
dieci. Quello che vi accadeva dentro non
è né descrivibile né immaginabile; raccontare che bambini di 12 anni dovevano
lavorare 14 ore al giorno al freddo, scalzi e malvestiti, mangiando segatura e
trasportando casse di cartone con le ceneri dei loro compagni bruciati nei
forni crematori ad un ritmo di 200 il giorno può essere solo un pallido accenno
all’atmosfera che erano costretti a vivere, cui erano costretti a dare vita. Nei
campi nazisti, a Terezin, la vita non era bella, non poteva esserlo mai in
nessun modo ed in nessun caso; tutti, adulti e bambini, vedevano e vivevano gli
orrori; tutti sapevano perfettamente cosa li aspettava se non fossero morti sul
posto di stenti, delle violenze, per le malattie o impiccati per i capricci di
qualche gerarca: il trasferimento nei carri bestiame all’ultima destinazione,
il trasferimento al campo di sterminio. Gli ebrei non dovevano solo essere
cancellati dal mondo e dalla storia, ma dovevano essere umiliati,
spersonalizzati, torturati ed annullati in ogni loro aspetto. Nonostante questo
all’interno di Terezin, di nascosto dai loro aguzzini e col terrore di essere
scoperti, gli adulti si organizzarono in modo che fosse possibile dare ai
bambini il calore umano ed il senso della vita che in ogni istante gli veniva
letteralmente e ferocemente strappato. Quelle persone, quelle donne e quegli
uomini, fecero da insegnanti ai bambini che così ci hanno lasciato
testimonianze tangibili della loro esistenza e della loro tragedia;
testimonianze e vite che la storia, troppo spesso, non ha il coraggio di
guardare:sono 66 poesie ed oltre 4000 disegni che di loro sono rimasti,
custoditi oggi nel Museo Ebraico a Praga; quasi tutti i disegni sono firmati
dai bambini che ne furono autori, in alcuni vi è anche la data di nascita e
quella di deportazione a Terezin e quella di partenza dal campo. I bambini
furono ovviamente tra i più esposti alle violenze dell'Olocausto. I Nazisti
sostenevano che l'uccisione dei figli di persone ritenute
"indesiderabili" o "pericolose" fosse giustificata dalla
loro ideologia, sia quella basata sulla "lotta di razza", sia quella
che considerava l'eliminazione dei nemici una misura preventiva necessaria alla
sicurezza. Da un lato, quindi, i Tedeschi e i loro collaboratori uccisero i più
giovani con queste motivazioni ideologiche; dall'altro ne eliminarono molti
come forma di rappresaglia agli attacchi partigiani veri o presunti. In tutto,
si calcola che almeno un milione e mezzo di bambini e ragazzi sia stato ucciso
dai Nazisti e dai loro fiancheggiatori; di queste giovani vittime, più di un
milione erano Ebrei, mentre le altre decine di migliaia erano Rom (Zingari),
Polacchi e Sovietici che vivevano nelle zone occupate dalla Germania, nonché
bambini tedeschi con handicap fisici e/o mentali provenienti dagli Istituti di
cura. Le possibilità di sopravvivenza degli adolescenti compresi tra i13 e i 18
anni, sia Ebrei che non-Ebrei, erano invece maggiori, in quanto potevano essere
utilizzati nel lavoro forzato. Il destino dei bambini, Ebrei e non-Ebrei,
poteva seguire diverse vie: 1) i bambini venivano uccisi immediatamente, al
loro arrivo nei campi di sterminio; 2) potevano venir uccisi subito dopo la
nascita, o mentre si trovavano ancora negli Istituti che li ospitavano; 3) i
bambini nati nei ghetti e nei campi potevano sopravvivere quando gli altri
prigionieri li nascondevano; 4) i bambini maggiori di 12 anni venivano
destinati al lavoro forzato o erano usati per esperimenti medici; 5) infine, vi
furono i bambini uccisi durante le operazioni di rappresaglia o quelle contro i
gruppi partigiani. Nei ghetti, i bambini ebrei morivano a causa della
denutrizione e dell'esposizione alle intemperie, in quanto mancavano sia il
vestiario che abitazioni adeguate. Le autorità tedesche rimanevano indifferenti
di fronte a queste morti in massa perché consideravano la maggior parte dei ragazzini
che viveva nei ghetti come elementi improduttivi e quindi come "inutili
bocche da sfamare". Siccome i bambini erano troppo piccoli per potere
essere utilizzati nel lavoro forzato, le autorità tedesche in genere li
selezionavano per primi - insieme agli anziani, ai malati e ai disabili - per
essere deportati nei centri di sterminio, o per le fucilazioni di massa che
riempivano poi le fosse comuni. Allo stesso modo, al loro arrivo ad
Auschwitz-Birkenau e agli altri centri di sterminio, le autorità dei campi
destinavano la maggior parte dei più piccoli direttamente alle camere a gas. Le
SS e le forze di polizia in Polonia e nell'Unione Sovietica occupata fucilarono
migliaia di bambini, dopo averli allineati lungo il bordo delle fosse comuni
scavate appositamente. A volte, la selezione dei più giovani per riempire i
trasporti verso i centri di sterminio, o per fornire le prime vittime alle
operazioni di assassinio di massa, furono il risultato di penose e controverse
decisioni prese dai presidenti dei Consigli Ebraici (Judenrat). Tra queste, la
decisione del Consiglio Ebraico di Lodz, nel settembre del 1942, di deportare i
bambini al centro di sterminio di Chelmo rappresenta un esempio delle scelte
tragiche operate dagli adulti quando costretti ad accontentare le richieste dei
Tedeschi. Invece, JanuszKorczak, direttore di un orfanotrofio nel ghetto di
Varsavia, si rifiutò di abbandonare i piccoli a lui affidati, quando questi
vennero selezionati per la deportazione, e li accompagnò sul convoglio che li
condusse a Treblinka, e poi fin dentro la camera a gas, condividendo così il
loro destino. Anche i bambini non-Ebrei dei gruppi presi di mira dai Nazisti
non vennero risparmiati, come ad esempio i bambini Rom (Zingari) uccisi nel
campo di concentramento di Auschwitz; o i bambini - tra i 5.000 e i 7.000 -
eliminati nell'ambito del programma "Eutanasia"; o, ancora, quelli
assassinati durante le operazioni di rappresaglia, come per esempio la maggior
parte dei bambini di Lidice; e, infine, i bambini che vivevano nella zona
occupata dell'Unione Sovietica e che vennero uccisi insieme ai loro genitori. Le
autorità tedesche incarcerarono anche un certo numero di bambini nei campi di
concentramento e nei campi di transito. Medici delle SS e ricercatori usarono i
più giovani, in particolare i gemelli, per esperimenti medici nei campi di
concentramento, esperimenti che spesso ne causarono la morte. Le autorità dei
campi, poi, usarono gli adolescenti, in particolare gli adolescenti Ebrei, per
il lavoro forzato; molti di loro morirono a causa delle condizioni in cui tali
lavori venivano svolti. Le autorità tedesche confinarono anche altri bambini
nei campi di transito, costringendoli a vivere in condizioni spaventose: fu
quello che accadde ad Anna Frank e a sua sorella nel campo di Bergen-Belsen, e
a molti altri orfani non-Ebrei i cui genitori erano stati uccisi dai soldati
tedeschi e dalla polizia nelle operazioni contro i partigiani. Alcuni di questi
orfani vennero detenuti per un certo periodo nel campo di concentramento di
Lublino/Majdanek e in altri campi. .Nella loro folle ricerca di "sangue
puro ariano", gli esperti della razza delle SS ordinarono che centinaia di
bambini, nella Polonia e nell'Unione Sovietica occupate, venissero rapiti e
trasferiti in Germania per essere adottati da famiglie considerate 'adeguate'
dal punto di vista razziale. Nonostante queste decisioni fossero basate su
princìpi ritenuti 'scientifici', spesso, invece, capelli biondi, occhi azzurri
e pelle chiara bastarono a "guadagnarsi" l'opportunità di venire
"germanificati". Inoltre, molte tra le donne polacche e sovietiche
che erano state deportate in Germania per lavorare ebbero relazioni sessuali
con uomini tedeschi, spesso costrette con la forza. Inevitabilmente, molte di
loro rimasero incinte e, nel caso gli "esperti' determinassero che il
nascituro non avesse abbastanza sangue tedesco, venivano costrette ad abortire,
oppure a partorire in condizioni tali da garantire la morte del neonato. Nonostante la loro estrema vulnerabilità,
molti bambini trovarono il modo di sopravvivere all'Olocausto: ad esempio,
alcuni di loro contrabbandarono il cibo all'interno dei ghetti, dopo aver
portato fuori di nascosto beni personali da poter scambiare. Altri,
appartenenti ai movimenti giovanili, parteciparono alle attività della
Resistenza clandestina. Molti altri ancora riuscirono a fuggire con i propri
genitori, o con dei parenti - e alcune volte anche da soli - e a rifugiarsi nei
campi per famiglie creati dai partigiani ebrei. Tra il 1938 e il 1940, ebbe
luogo una grande operazione di salvataggio chiamata ufficiosamente
"Trasferimento dei Bambini" (Kindertransport); un’operazione che -
dalla Germania e dai territori occupati dai tedeschi - portò in Gran Bretagna
migliaia di bambini ebrei profughi e senza genitori. In tutta Europa, inoltre,
persone non-Ebree nascosero giovani Ebrei e a volte, come nel caso di Anna
Frank, anche altri membri delle loro famiglie. In altre occasioni, persone
non-Ebree nascosero giovani Ebrei e a volte, come nel caso di Anna Frank, anche
altri membri delle loro famiglie. In Francia, quasi l'intera popolazione di
Le-Chambon-sur-Lignon, insieme a molti preti cattolici, a suore e a laici
cattolici, nascosero i bambini ebrei della città dal 1942 al 1944. In Italia e
in Belgio, infine, molti sopravvissero nascondendosi in luoghi diversi. Dopo la
resa della Germania nazista, che pose fine alla Seconda Guerra Mondiale, i
profughi e i rifugiati cominciarono a cercare in tutta Europa i bambini
dispersi. Migliaia di orfani si trovavano a quel punto nei campi profughi,
mentre molti bambini ebrei sopravvissuti erano fuggiti dall'Europa dell'Est,
unendosi all'esodo di massa (Brihah) verso le zone occidentali della Germania
occupata, e dirigendosi poi verso Yishuv (la zona d'insediamento ebraico in Palestina).
Grazie alla Youth Aliyah (Immigrazione Giovanile), a migliaia emigrarono nello
Yishuv e poi nello Stato di Israele, dopo la sua costituzione nel 1948. La fonte
da cui molte di queste notizie sono state riprese è l’
Enciclopedia dell’Olocausto on line. CHIARA PASSARELLA
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