occidentali di una
volta e noi. Una volta la gente non sentiva
nessuna pressione di fingersi piena di gioia, contenta, e con bei denti per
giunta. Le emozioni interiori dei nostri
antenati erano una cosa squisitamente personale. Ovviamente, trattandosi di foto, in tempi
passati la cosa importante era esserci. Presenti,
visibili, ma non in performance. Non si doveva convincere nessuno che lo stato
morale nel momento dello scatto era alle stelle. Solo adesso comincio a capire che è un fatto
gravissimo che noi non ci rendiamo conto di quanto siamo stati condizionati ogni
volta che fingiamo un sorriso per l'obiettivo.
Ha perso il suo valore, il sorriso, forse per sempre
con il successo
inspiegabile del Smiley Face icone di Harvey Ball nel 1964. (Vedi il mio post in lingua inglese, HARVEY
BALL'S EMOTO-CAMPAIGN - clikka
qui.) Questa nuova condizione imposta
all'uomo occidentale, la felicità fasulla, è un'invenzione che aiuta molto a
venderci idee e cose. Se veniamo ad
accettare l'idea che la felicità sia una cosa essenziale ma leggera e
passeggera, come una posa fotografica, allora è molto più facile venderci cose
che ci faranno "felici". Cominciamo
a credere che gli oggetti e anche le cose che vediamo sullo schermo, siano in
grado di riprodurre quest'esperienza superficiale della "felicità",
cosa che siamo stati anche ipnotizzati a bramare. Nelle pubblicità vediamo famiglie,
comunicative e armoniose, e anche coppie non meno comunicative, mentre consumano
le loro vite apparentemente "felici" in vista di una marca di brioche,
di schiuma di barba o catena di supermercato.
Il forte suggerimento della loro "felicità" ci priva della
nostra. Viviamo nell'ombra del
suggerimento della loro felice ma fasulla esistenza, e non ce ne rendiamo conto. Dietro la pubblicità ci sono musiche e dettagli
ben studiati, con attori burattini dei quali ogni movimento e espressione facciale
sono programmati, e tutta questa messa in scena viene profumatamente pagata
dalle ditte che vogliono che noi compriamo i loro prodotti. Noi paghiamo tutto questo non solo in termine
di lucro, ma anche in termine del nostro senso della realtà dentro la società
in cui viviamo. Non solo la pubblicità ma
tutto ciò che vediamo sullo schermo esercita quest'influenza subdola su di
noi. Facilmente dimentichiamo che lo
scopo della vita, forse, non è di essere "felici" ma di essere
autentici e liberi di sentire i nostri veri sentimenti. La questione non è certo se sorridere o non
sorridere. E' solo una questione di
bastare a noi stessi e agli altri come siamo veramente, e non permettere che le
nostre emozioni vengano manipolate a nostra insaputa da convenzioni inventate! Secondo me, la felicità non è uno stato
dimostrabile. La felicità è un sorriso
che sa fare il cuore. UN'AMERICANA A
VENEZIA

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