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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO
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314. TERRA/MEMORIA - DONNE/TABACCO di Chiara Passarella
Terra/Memoria - Donne/Tabacco
Per
motivi legati al mio lavoro, sono venuta a conoscenza del libro di Gaetana Luchetti “Dal verde al
giallo. Storia e storie di terra, di donne e tabacco” (CRACE, Narni 2013) che
verrà presentato giovedì 30 maggio 2013 alle ore 17,30 presso il Tabacchificio
Pietromarchi di Marsciano in provincia di Perugia. Mi ha subito colpito il
titolo per i chiari riferimenti ai colori (verde/giallo), alle donne, alla
terra, al tabacco ed alla storia intesa come memoria. Mi sono documentata ed ho
trovato la presentazione che Rossella Del Prete dell’Università degli Studi del
Sannio ha scritto per presentare questo libro e che riporto integralmente
Presentazione
Raccontare il Lavoro… di Rossella del Prete (Università degli Studi
del Sannio) «Ma che ci fai con i miei ricordi?». Con questo
interrogativo, apparentemente banale e colloquiale, Giuliana Massoli
Cavalletti, prima tra le donne intervistate da Gaetana Luchetti, apre una
profonda riflessione sull’uso storiografico della memoria. Perché è vero, per
ricostruire la storia sociale e produttiva di un territorio, lo storico ha
bisogno di fonti quantitative e documentarie, di antiche carte, che abbiano
fissato, nero su bianco, dinamiche e processi di sviluppo socio-economici. Ma
perché la storia si arricchisca anche di storie, espressione delle diverse
identità culturali e di vite vissute, è necessario che lo storico tenga conto
anche dei ricordi, cioè delle fonti orali, e che impari ad ascoltare,
esercitando quello che diventa un lavoro di relazione umana oltre che di
interpretazione dei documenti storici.E così l’Autrice, che si affida quasi
esclusivamente al racconto del lavoro, lasciando alle immagini la descrizione
documentata dei fatti, esercita quella che è ormai considerata l’arte dell’ascolto
che è molto più di una relazione tra due o più persone. Quattordici donne e
quattro uomini si raccontano a partire da un elemento comune: la terra…da cui
nasce il tabacco. Il lavoro, con il suo portato di speranze e fatiche, di
soddisfazioni e delusioni, elemento di cultura materiale e di scansione
temporale della vita degli individui, diviene una lente per osservare in modo
più meditato non solo il tempo passato ma anche il nostro tempo presente,
fornendone interpretazioni e percorsi ricchi di senso. Il volume, frutto di
un’attenta e suggestiva riflessione effettuata per il «timore della
dimenticanza», contribuisce a una rilettura di una parte di storia del lavoro
italiano in un’ottica di genere. Ma tracciare i lineamenti di una storiografia
al femminile non vuol dire cadere negli stereotipi dettati dal genere, vuol
dire piuttosto portare alla memoria fondamentali aspetti della realtà. Il
lavoro femminile è un terreno dove si intersecano e si sovrappongono, spesso
contraddicendosi, istanze diverse, a partire da quella linea di confine che c’è
tra dentro e fuori la casa, tra visibile e invisibile, tra famiglia e lavoro,
tra economia informale e formale. Nelle pagine di questo libro, l’analisi del
lavoro femminile ha come quadro di riferimento la comunità e la famiglia, in un
orizzonte temporale scandito da storie familiari fatte di morti, nascite e
matrimoni. L’età media degli intervistati va dai 73 ai 90 anni, la memoria
storica rievoca così il periodo compreso tra gli anni trenta e settanta del Novecento:
in mezzo la seconda guerra mondiale e poi il “boom economico”. Come sempre
accade, quando si lavora con le fonti orali, l’ambito della ricerca si allarga,
trasformando l’ottica e il punto di vista grazie all’impatto dei narratori,
perché, per diverse ragioni, che toccano la sfera dei sentimenti, dei tabù e
della riservatezza personale, quello che lo storico desidera sapere talvolta
può non coincidere interamente con quello che le persone intervistate
desiderano raccontare. Ogni incontro, dunque, rischia di trasformare
radicalmente l’agenda della ricerca, diventando una sorta di “dialogo di
pensiero” in cui la comunicazione tra passato e presente costruisce numerosi
ponti da trasporre nella scrittura. Ecco come, dalle varie interviste, il
racconto del lavoro si arricchisce di altri dettagli, sfociando in altri
contesti, sempre e comunque legati alla famiglia perché affrontare il tema del
lavoro conduce a ripensare un elemento essenziale nella vita di tutti gli
individui che, osservato nel suo evolversi, diviene per noi oggi specchio del
trasformarsi del vivere individuale e collettivo, della socialità e dei
rapporti tra individui. Penso, ad esempio, all’intervista a Marina Velloni
Ricci (classe 1936) che, con una punta d’orgoglio, si definisce una «lavoratrice
in gamba» (era la legarina n. 120 nel Tabacchificio Pietromarchi). Marina
comincia il suo racconto partendo da un brutto ricordo di guerra (è oggi
l’unica superstite del bombardamento che colpì Marsciano il 23 ottobre 1943) e
la sua narrazione, come quella degli altri intervistati, insiste nel collegare
l’oggetto principale dell’intervista – il suo lavoro connesso al tabacco – con
le origini della sua storia personale, familiare e cittadina. È una costante
dell’intervista a schema libero che ci ricorda quanto sia importante saper
ascoltare. L’uso critico delle fonti orali implica procedimenti e atteggiamenti
diversi che derivano dal diverso processo di formazione della stessa fonte
orale e che non può prescindere dal fatto che la memoria sia sempre qualcosa di
attivo, uno spazio di relazione con il passato, una rete continuamente
ristrutturata dalle domande, dalle preoccupazioni, dalle esigenze e dalle
nostalgie del presente1. D’altronde, il fascino delle fonti orali sta proprio
nel fatto che esse non si limitano a testimoniare sui fatti, ma li elaborano e
ne costruiscono il senso attraverso il lavoro della memoria e il filtro del
linguaggio. Il lavoro con le fonti orali, dunque, deve tenere insieme tre fatti
distinti: un fatto del passato (l’evento storico), un fatto del presente (il
racconto che ne viene dall’intervistato) e un fatto di relazione e di durata
(il rapporto che esiste e che è esistito fra questi due fatti)2. Solo
attraverso uno studio interdisciplinare del passato si possono rimettere insieme
i pezzi della narrazione storica, troppo spesso frammentate da ideologie e
prese di posizione. Mettere in dialogo le voci del passato con quelle del
presente, oltre che un compito storiografico, vuole dunque essere una proposta
critica, uno stimolo alla riflessione. Ecco perché il lavoro dello storico
orale deve includere la storiografia in senso stretto (la ricostruzione del
passato), l’antropologia culturale, la psicologia individuale, la critica
testuale (l’analisi e interpretazione del racconto) e l’applicazione della
seconda alla prima. La storia orale è dunque storia degli eventi, storia della
memoria e revisione degli eventi attraverso la memoria. La memoria, a sua
volta, non è un mero deposito di dati da cui recuperare informazioni, ma un processo
in continua elaborazione di cui studiare le modalità. In un’epoca in cui lo
strapotere di massa tende a frammentare il soggetto in molteplici identità,
quasi mai reali, dovrebbe essere fondamentale valorizzare l’interazione tra
memoria e presente, facendo attenzione alle specificità del locale. Ancora oggi
i più importanti contributi alla storia operaia riguardano, quasi
esclusivamente, la popolazione maschile; al contrario, le testimonianze
raccolte in questo volume, come in molti altri venuti alla luce nell’ultimo
ventennio, riportano alla luce ciò che la politica, l’opinione pubblica o
l’orientamento storiografico di certe epoche hanno per lungo tempo destinato al
silenzio: la partecipazione delle donne ai processi produttivi del Paese. Il
lavoro maschile e quello femminile restano storicamente divisi da un
pregiudizio di fondo che assegna al primo l’esclusiva della complessità, al
secondo quella dell’inferiorità. Ancora oggi il lavoro femminile è spesso
considerato inferiore semplicemente perché svolto dalle donne, le quali,
trasferendo sul posto di lavoro, il loro status di individui subalterni,
inconsapevolmente definiscono, limitandolo, il valore del loro lavoro.
L’invisibilità del lavoro delle donne, perpetuata per secoli a più livelli, è
stata in effetti la conseguenza di quanto accadeva nei settori trainanti
dell’industria italiana, la siderurgia e la meccanica, regni incontrastati
della mano d’opera maschile, ma le tabacchine, a differenza delle altre
operaie, hanno attraversato l’Italia in maniera trasversale, tra attività
rurali e industriali, da Nord a Sud del Paese. La larga manovalanza femminile
impiegata nella coltivazione, ma soprattutto nella trasformazione del tabacco,
non è più sommersa o invisibile e delinea uno scenario inesauribile nel quale
si inscrive l’epopea di una collettività che, ampliando il suo territorio,
abbatte confini e frontiere e addirittura edifica una Nazione: il Monopolio di
Stato sul tabacco creò la grande fabbrica italiana, strettamente dipendente dal
settore primario, e, per la prima volta, largamente femminilizzata. Le
tabacchine hanno costituito una delle più numerose e significative manovalanze
femminili nella storia del lavoro italiano; esse diedero il via alle prime
rivendicazioni per la tutela della salute delle operaie manifatturiere e furono
le più agguerrite nella partecipazione agli scioperi, in particolare a quello
nazionale del 1914. Le tabacchine impiegate nelle grandi manifatture urbane
(Torino, Milano, Venezia, Firenze) poterono contare su salari garantiti, per
quanto bassi, e la presenza di organizzazioni sindacali, più o meno
consolidate, permise loro di intraprendere azioni rivendicative impensabili
altrove; al contrario, le tabacchine impiegate nelle aziende a concessione
speciale vissero ancora una dimensione “rurale” della loro emancipazione,
soprattutto nel Mezzogiorno. La storia del lavoro femminile connesso al tabacco
è dunque una storia larga e plurale, a più dimensioni e a più voci, che a volte
si incrociano e si intersecano, a volte solo si affiancano e sovrappongono. È
una storia che racconta insieme dell’agricoltura e dell’industria, della
campagna e della fabbrica, di uomini e donne. Molti sapevano, e le statistiche
lo confermano, che la percentuale delle donne addette alla lavorazione del
tabacco, a livello nazionale, era altissima e di gran lunga superiore a quella
degli addetti uomini, ma allora cosa le ha rese tanto invisibili così a lungo?
Sicuramente un retaggio culturale difficile da rimuovere che ha sempre
considerato il lavoro delle donne inferiore a quello degli uomini e che ha poi
condizionato un’impostazione della ricerca che continua, ancora oggi, a tenere
separati gli studi della storia di genere da quelli di una storiografia
nazionale. Un gap difficile da superare in un Paese in cui la ricerca storica è
gestita in maniera corporativa e procede per compartimenti stagni, ormai
ampiamente superati a livello internazionale. Non è un caso che la storia
orale, con cui le donne hanno cominciato a raccontarsi, si sia sviluppata prima
negli USA, intorno agli anni trenta del Novecento, poi in Gran Bretagna edin
Canada e soltanto dopo, alla fine degli anni settanta, anche in Italia, dove,
ancora oggi, viene guardata con una certa diffidenza dagli storici tradizionali
e ancor più dagli storici economici. L’interesse per la tecnica della storia
orale muove dal superamento dei pregiudizi della storiografia ottocentesca, che
riconosceva la scientificità esclusivamente all’uso di fonti scritte, relegando
quelle orali alle “società senza scrittura” (il mondo extraeuropeo da un lato,
le classi popolari dall’altro). Il valore inesauribile
dell’interdisciplinarietà è stato colto a pieno dalla metodologia della storia
orale che, senza trascurare la storiografia, ha favorito il confronto continuo
con gli strumenti propri di altre discipline quali l’antropologia, la
sociologia, l’etnologia, ecc., recuperando l’esperienza storica dei cosiddetti
mondi senza scrittura, fatti di vita quotidiana e di settori sociali
tradizionalmente esclusi dalla narrazione storica ufficiale. Gaetana Luchetti
si cimenta con l’esperienza storica di questi mondi, sperimentando il metodo
della storia orale e quello della narrazione storica. Il lavoro delle donne, ma
non solo, è il vero protagonista di questo volume, che racconta l’enorme
“desiderio” di lavoro delle tabacchine umbre e il racconto, si sa, è un metodo
particolarmente caro alla sfera femminile. Lo sa bene l’Autrice che, donna tra
le donne, usa la scrittura per trasferire sulla pagina emozioni, sensazioni,
relazioni, ricordi… Il racconto – dice Alain Touraine nel suo Le monde des
femmes – è un metodo fondato sulle esperienze per superare l’aridità
dell’approccio “oggettivo” che, necessariamente (essendo esso improntato al
mondo maschile), impedisce di cogliere la realtà dell’essere donna. Oggi sono
tanti gli economisti costretti a riconoscere che le donne entrate nel mercato
del lavoro hanno fatto registrare un forte aumento della loro presenza in
diversi settori professionali e, portando con sé sguardi, saperi, modi di
collocarsi differenti (requisiti prima confinati nella sfera
privata-riproduttiva dell’esistenza), hanno determinato persino un “divenire
femminile del lavoro”: relazione, comunicazione, soggettività sono oggi valori
“altri” entrati a far parte della razionalità produttiva dell’economia
postfordista e stanno modificando ciò che conta come produttivo. Gaetana
Luchetti, non nuova a questo tipo di esperienze, che diventa qui esteta e
“artista delle relazioni umane”, lo sa bene, ecco perché ha avvicinato donne e
uomini di un mondo, quello del tabacco e del lavoro operaio tra terra e
fabbrica, per raggiungere una coralità di emozioni, di produzioni artistiche ed
economiche. Questioni come i differenziali retributivi, gli orari di lavoro, il
cottimo, il rapporto tra privato e pubblico, la “doppia presenza” delle donne,
il lavoro di cura dei figli, il matrimonio, non possono essere affrontate con
metodi oggettivi se a esserne protagoniste sono le donne piuttosto che gli
uomini. Sono questioni legate alla storia personale, all’autostima, alla
modalità di percezione di sentimenti quali l’ambizione, il desiderio di
autonomia, di competizione, di emancipazione, l’affettività, tutto ciò che di
fatto non può essere definito come una cosa in sé, perché allude al vissuto e
alla soggettività. È quanto emerge dalle diverse voci che animano il volume,
tutte razionalmente concordi sul fatto che il lavoro della tabacchina fosse «un
impiego sicuro» al punto da poter affermare che «a quell’epoca, chi sposava una
tabacchina era un uomo fortunato: liquidità certa». Pagine intense, quelle
prodotte da Gaetana Luchetti, in cui alla prosa, prima regolata e razionale
della descrizione dei fatti, poi più libera, emotiva e irregolare delle
testimonianze, si alterna la poesia che aggiunge emozioni, malinconie, ma anche
colori, suoni, odori e sapori e rende tutto più bello, perché tutto sa di vita
/ intorno al tavolo di sedie impagliate, in quel tramestio di pertiche e di
spaghi bagnati di labbra turgide…, anche quando «qualcuna si ammalava perché la
nicotina intossica e l’aria era impregnata di polvere e di sapore di tabacco»
perché «quello della tabacchina è un mestieraccio! Sempre sporche, le mani
impastate e appiccicose, quell’afrore aspro e pesante di tabacco addosso che
non partiva mai, anche le lenzuola e il pane sapevano di Kentucky e di Bright».
Ma il tabacco era anche pieno di colori, quelli che «la cernitrice sapeva
dividere bene» perché «c’era il color oro, l’arancione, il limone, il macchiato
e il bruciato. Per il marrone c’era il bruno forte, il chiaro, lo scuro… Poi
c’era il verde limone, il verdino, il verde scuro…» e «le donne del tabacco erano quell’esercito
di grembiuli e di pantaloni, di stivali e di camicie a quadri, di cappelli e di
foulard che colorarono per lungo tempo le strade e i campi del Marscianese…
fiume di ragazze che alla stessa ora, ogni giorno, si snodava dal tabacchificio
e si diramava in rivoli minori…». Un lavoro duro, pesante e fortemente
discriminante quello delle tabacchine di Marsciano, ma che qui si tinge di
poesia, emozioni, rossori, passioni e talvolta malinconie. Un lavoro che
acquista una sua bellezza, a tratti metafisica e consolatoria, ma intesa come
“categoria economica” sulla quale tenere sempre aperta la discussione e il
confronto. Bellezza dei luoghi, bellezza dei ricordi, bellezza delle relazioni,
che si giocano non sul desiderio predatorio e mortale di integrare l’altro, ma
sulla necessità di considerarlo il confine, il bordo essenziale della nostra
libertà.In questo libro risiedono le radici di una comunità, un patrimonio
culturale importante da far conoscere e valorizzare. Le storie di vita,
riportate in forma soggettiva nel testo, contemplate e rivisitate negli
intermezzi poetici creati dall’Autrice, costruiscono la partitura vitale del volume
in cui emerge la coralità di un’esperienza produttiva collettiva, la
singolarità di vite vissute in tempi e luoghi diversi, il confronto
generazionale, la cassa armonica della “casa” quale luogo di riferimento per
eccellenza e la vastità della terra madre-matrigna, in cui le storie sono
profondamente radicate. La bellezza è però una finalità essa stessa e non deve
raggiungere nessun fine. All’estetizzazione del lavoro (dopo Simone Weil!) sono
arrivati anche insigni economisti del nostro tempo e bellezza e creatività son
diventate oggi ingredienti essenziali della produttività e della competitività.
Nella forma si coagula quel quid che può rendere originale e irriproducibile un
prodotto sui mercati, sempre più omologati dalla globalizzazione. Ma creatività
e bellezza costruiscono la loro struttura su un binomio imprescindibile dal
loro esistere, una sorta di “bene” raro: la capacità di avere relazioni con il
mondo e l’attitudine all’ascolto.
Note:
1 Cfr. Daniel Bertaux, Les
récits de vie. Perspective
ethnosociologique, Paris,
Nathan, 2003.
2 Alessandro Portelli, Un lavoro di relazioni:
osservazioni sulla storia orale, in www.aisoitalia.it,
n. 1, gennaio 2010 (http://www.aisoitalia.it/2009/01/un-lavoro-di-relazione/).
Trovo
quanto sopra da me integralmente riportato, senza nulla togliere né aggiungere,
molto interessante ed in aderenza con le tematiche trattate dal nostro blog. Vi
ho trovato memoria storica. poesia, fatti socialmente ed culturalmente
interessanti: parole e concetti che vale la pena leggere.
CHIARA
PASSARELLA
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