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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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255. L’INVIDIA SECONDO I FILOSOFI, GLI PSICOLOGI E I SOCIOLOGI DI Chiara Passarella




Riprendendo l’argomento trattato nel post: L’invidia: uno dei motori del consumismo (post 247 – clikka qui)  voglio porre l’attenzione su questo sentimento, così diffuso ed inconfessabile, oggetto di studio da parte di molte discipline. In questo post tratterò l’invidia secondo i filosofi, gli psicologi ed i sociologi. Lascerò per un post futuro e a se stante, l’argomento dell’invidia secondo gli  psicanalisti, poiché in psicanalisi l’invidia è trattata in modo molto variegato e complesso.


L’invidia in filosofia

Sono numerosi i filosofi che, affrontando lo studio dell'uomo e dei sentimenti umani, hanno dedicato riflessioni al tema dell'invidia. Dopo Aristotele, che all'invidia oppone la giusta capacità di indignazione, dopo sant'Agostino e san Tommaso, Francis Bacon parla di un'invidia "pubblica": un'invidia anomala rispetto al sentimento che di solito definiamo invidioso. A differenza di quest'ultimo, che proviene da una mancanza ed è indirizzato dal basso verso l'alto, l'invidia cosiddetta "del re" consiste nel timore che le distanze vengano colmate e procede dall'alto verso il basso. È questa, secondo Bacon, l'invidia assoluta, quella che produce una percezione distorta, secondo la quale, quando qualcun altro avanza, l'invidioso ha la sensazione, pur trovandosi in notevole vantaggio, di retrocedere, di perdere terreno. Altri filosofi hanno contrapposto l'invidia all'ammirazione, come per esempio Cartesio, oppure al sentimento della misericordia, "l'amore che gode del bene altrui e si rattrista invece dell'altrui male", come scrive Spinoza nella sua Ethica. Anche Schopenhauer vede nell'invidia una passione umana inevitabile, il cui opposto è la compassione: è naturale, sostiene Schopenhauer, che l'uomo nel vedere il godimento altrui provi amarezza; questo però non dovrebbe suscitare l'odio verso chi è più fortunato. Ma proprio di ciò è fatta la vera invidia, definibile anche come la situazione che esclude l'amicizia. Viceversa, poiché il bene degli amici è anche il proprio, il rapporto di amicizia è quello all'interno del quale l'invidia non può attecchire.  Tra gli illuministi si afferma l'idea che l'invidia sia uno dei tanti deprecabili vizi che condizionano i rapporti sociali, vizi cui non sarebbe possibile opporsi giacché essi sarebbero espressione della natura umana. D'altro canto l'invidia affonda le sue radici in un sentimento più articolato e complesso: il risentimento. Di quest'ultimo stato d'animo Nicola Abbagnano dà una definizione che ne mette in evidenza le analogie con il sentimento invidioso: "è l'odio impotente contro ciò che non si può essere o che non si può avere".

L'invidia in psicologia

Gli studiosi di psicologia non hanno mai dedicato una trattazione sistematica e coerente al tema dell'invidia, pur interessandosi spesso di questo affetto e, in primo luogo, dei legami che esso intrattiene con altri sentimenti umani. Un rapporto privilegiato viene da sempre individuato tra l'invidia e la gelosia, anche se molti autori concordano nel ritenere questi due sentimenti essenzialmente diversi per quel che riguarda sia il tipo di relazione tra i soggetti, sia l'oggetto cui si riferiscono: mentre, infatti, l'invidia scaturisce dalla superiorità altrui, la gelosia prescinde da questo aspetto. Altri sentimenti spesso legati all'invidia sono l'ambizione, l'ammirazione, lo spirito competitivo, la superbia, l'emulazione.  Alcuni autori hanno dedicato la loro attenzione anche all'invidiato - un ruolo specifico e scarsamente trattato -, al suo rapporto con il sentimento di cui è oggetto e alle possibilità che egli ha di mitigarlo. Il ruolo dell'invidia in un contesto eminentemente sociale, quale quello del lavoro, è stato analizzato con particolare interesse e acume da Elliott Jacques, uno dei maggiori studiosi di psicologia del lavoro. La sua analisi, condotta in una prospettiva teorica psicanalitica di marca kleiniana, lo conduce ad attribuire grande importanza a questo sentimento, spesso molto incisivo nei rapporti di lavoro. Jacques sostiene infatti che, all'interno di un'attività quale quella lavorativa, fondamentale perché l'uomo possa raggiungere il proprio equilibrio psichico, il sentimento innato dell'invidia incontra enormi occasioni di sviluppo. L'autore propone un originale parallelismo tra il rapporto che il lavoratore intrattiene con il datore di lavoro e il rapporto tra madre e figlio: in entrambe le situazioni sono determinanti, tra l'altro, i fattori di dipendenza e il possesso dell'oggetto desiderato. Considerando  l'invidia un affetto primario e dunque innato, Jacques ritiene inutile ogni tentativo di eliminare questo sentimento dal contesto lavorativo attraverso la repressione sociale. L'ambiente non può far altro che tenere sotto controllo fino a un certo punto l'intensità di questo affetto; a tal fine deve essere raggiunto un equilibrio fra tre parametri fondamentali: le capacità del singolo lavoratore, il lavoro e la retribuzione. Sempre nell'ambito dell'indagine psicologica, il tema dell'invidia ripropone uno spunto di riflessione destinato a essere chiamato in causa ogni volta che si parli dei fenomeni emotivi, vale a dire il rapporto che intercorre tra le varie aree dell'attività psichica: quella intellettuale, quella affettiva, quella volitiva. È un problema antico, lasciato in eredità alla psicologia dalla filosofia classica. Da sempre la psicologia ha studiato i fenomeni emotivi anche nell'accezione funzionale e relazionale, cioè come legami che connettono l'individuo alle altre persone, alle cose, agli eventi. L'esperienza emotiva, infatti, è ciò che ci consente di apprendere il significato degli eventi ed è ciò che seleziona e controlla gran parte delle informazioni con cui entriamo in contatto. Anche l'interazione sociale è mediata dai sentimenti e dalle emozioni, perciò sia la psicologia individuale sia quella sociale hanno concentrato la loro attenzione sulla specificità delle singole emozioni, sulle loro reciproche differenze e sul modo in cui esse interagiscono con i processi intellettuali e con l'attività percettiva. In questa prospettiva 'interattiva' l'invidia può quindi essere considerata il prodotto di un'operazione cognitiva di confronto e valutazione, che parte dall'inserimento di un qualche evento all'interno di uno schema mentale preciso. Il confronto che genera invidia avverrà a partire da una valutazione soggettiva della realtà, non a partire dalla realtà vera e propria: come ogni rappresentazione sociale, anche quella dalla quale scaturisce l'invidia sorge da un nucleo di verità ma si arricchisce man mano di una serie di elaborazioni personali compiute dal soggetto. L'invidia risulta dunque essere un costrutto psicologico complesso, che non è legittimo ridurre a un affetto del tutto spontaneo e irrazionale. Fondamentali sono, in essa, aspetti cognitivi e valutativi relativi a contesti sociali e relazionali sempre differenti.

L'invidia in sociologia

L'invidia è un fenomeno senza dubbio interpersonale, in quanto coinvolge almeno due individui e può estendersi a un numero considerevole di persone, dal piccolo gruppo alla massa. Visti all'interno del più ampio contesto sociale i protagonisti del sentimento invidioso divengono a loro volta entità sociali tra le quali intercorrono i rapporti di prossimità sociale indispensabili al confronto e quindi al sorgere dell'invidia. Questo punto di vista sembra contrassegnare il pensiero sociologico sull'invidia nel suo insieme: secondo i sociologi il presupposto necessario alla nascita di un sentimento di invidia è "un minimo di possibilità comuni" Non si invidia chiunque, sostiene ad esempio il sociologo Francesco Alberoni, si invidia soltanto colui con il quale si presuppone di avere una comunanza di desideri e di capacità: l'invidia scatta tra fratelli, tra colleghi, tra i componenti di uno stesso gruppo sociale. Altra precondizione perché ci sia invidia è, sempre secondo Alberoni, la presenza di un pubblico, seppure virtuale. Questo sentimento così profondamente intimo e inammissibile sembra infatti fondato su una relazione diadica - quella che intercorre tra l'invidioso e l'invidiato - mentre in realtà nasce alla presenza di un pubblico: coloro di fronte ai quali l'invidioso avverte con strazio il proprio scarso valore rispetto a colui che, invece, ha avuto successo. La sociologia tende inoltre a collocare l'invidia in una situazione di reale competizione: essa comparirebbe quando il soggetto si rende conto che la considerazione di cui godeva è insidiata da qualcun altro, anche se questo altro non si pone in competizione diretta. Lo studio più approfondito sull'invidia è stato effettuato proprio da un sociologo, Helmut  Schoeck  che ha preso in esame tutti gli aspetti culturali del problema. Il tratto più innovativo dell'opera di Schoeck e del suo modo di procedere nell'analisi del sentimento invidioso riguarda i motivi per i quali l'invidia risulta una passione inconfessabile, socialmente stigmatizzata con grande severità, spesso camuffata e sempre sottoposta a tentativi più o meno riusciti di razionalizzazione. Al termine del suo percorso - nel quale, sulla base dell'invidia, arriva a spiegare fenomeni come il conformismo e alcune forme di conflitto - l'autore propone un'ipotesi di rivalutazione individuale e sociale dell'invidia: collegandolo al risentimento, Schoeck individua nel sentimento invidioso un elemento determinante nella formazione dei valori e della morale. La tesi di fondo dell'autore è che questo sentimento è così profondamente radicato nell'animo umano da rendere inutile qualunque strategia per annullarlo: anche in presenza di un assoluto livellamento sociale una sia pur minima diversità diventerebbe pretesto del sentimento invidioso. All'interno della stessa sociologia non sono mancate tuttavia perplessità nei confronti della proposta teorica di Schoeck. In particolare le critiche si sono concentrate sul meccanismo secondo il quale risentimento e invidia avrebbero giocato un ruolo nella genesi di alcune tendenze moralistiche quali l'umanitarismo e la filantropia.  CHIARA PASSARELLA






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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)