c'era una
tarantella. L'illustrazione raffigurava
un ragazzo sofferente di una morsicatura dolorosa. Circondato da musicisti di un'altra epoca, il
povero ragazzo doveva ballare per star meglio.
Data l'urgenza della situazione, suonavo quel brano col massimo impegno. L'idea per questo post è nata in una notte
calda dell'agosto quando gli appassionati della tarantella, chiamata anche pizzica,
si sono radunati per l'undicesima edizione della Notte della Taranta nel
Salento. Non c'ero, ma so che l'enorme folla
che ha viaggiato fino a Melpignano ha provato un bel po’ di sana euforia. In decenni
recenti, il genere era andato underground, assieme al dio greco Dioniso,
una volta conosciuto anche come il Liberatore.
(Per gli antichi romani era Bacco, associato solo con il disordine dei rave party romani.) Nel Salento, invece, si capisce che è la
musica, non il vino, che è tornata più forte che mai. Provo di procedere con ordine. Il simbolo della Taranta è il ragno. Ci vorrebbe una dissertazione per spiegarne
il perché. Diciamo che il ragno in
questione, chiamata taranta, non
esiste, ma il ballo per sconfiggere il suo morso sì. La tarantola (Lycosa) che si trova nel sud dell'Italia dà un morso fastidioso, ma
non è pericoloso, anche se secondo la credenza popolare procurerebbe strani
malori come il cosiddetto ballo di San
Vito. E' presente anche la malmignatta,
la vedova nera mediterranea. Bella ma pericolosa
assai, è in dubbio che la sua
fa impazzire. Dio delle vigne, della
natura feconda, della forza vitale, ed anche delle arti del teatro, inclusa la
musica, Dioniso incoraggia la liberazione (Eleutherios)
dello spirito attraverso l'estasi, la pazzia, e a volte anche il vino. I suoi riti, eseguiti dai musicisti più i thiasoi, gruppi di ballo chiamati Maenadi ("donne selvatiche"), erano
caratterizzati dai balli maniaci e la musica forte. Trattando il tema della morte e della
rinascita, le ballerine erano invasate da Dioniso e liberate dal corpo. Erano accompagnate dalle Thyiadi
("quelle che rave") che assistevano senza perdere l'auto-controllo. Dal punto di vista psicologico, i riti
dionisiaci rappresentano il viaggio dentro l'inconscio. Dioniso cura quello che opprime l'anima. Tornando alle Puglie, in particolare alle
province di Lecce, Brindisi, Taranto, il sud barese, e la provincia di Matera
nella Basilicata, scopriamo che esistono quattro tipi di "morsicatura": la taranta libertina, la taranta triste e
muta, la taranta tempestosa, e la taranta d'acqua. Nel passato, la tarantata cominciava a ballare
soltanto quando i musicisti, dopo qualche prova, azzeccavano il ritmo adatto al
suo tipo di disagio. La cura poteva proseguire
per ore, giorni, o mesi. A volte, anche
per anni. La depressione, l'isteria, la trauma,
le convulsioni, e le difficoltà vissute in una società ormai fortemente patriarcale
erano trattate non con i farmaci ma con il rito del ballo. La musica era ripetitiva, ipnotica, e quasi
sempre energica. C'era chi batteva il
tamburello a questi "esorcismi da taranta" fino al punto da far
sanguinare le dita. Sacerdoti del
linguaggio dell'anima, i musicisti tentavano di liberare i sofferenti dalle
loro prigioni senza infliggerle loro brutti effetti collaterali. Oggi qualcuno chiama la Taranta "il
ballo della guarigione." Il
concetto è basato su una delle terapie più efficaci da sempre: la musica.
Oggi, però, cominciamo a capire che ballare freneticamente ai ritmi
antichi con i capelli sciolti e i piedi nudi non è solo una buona forma di terapia. Ci si può anche divertire un sacco! UN’AMERICANA A VENEZIA
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