“EMERGE”
Bejelit (dall’Italia) – 2012
Questo loro quarto album si apre con buone
song, anche strutturalmente ricercate, il cui condimento (assoli ed inserti
sonori) è migliore della sostanza. Stranamente sono migliori i brani più
semplici, fatta eccezione per la eravigliosa e complessa “Deep Water”. “DON’T KNOW WHAT YOU NEED” è una lineare ma
efficacissima power-song che è assolutamente fresca ed energica, con una poetica linea vocale senza sbavature. “EMERGE” è una title-track di tutto rispetto;
dura e rotolante. Si tratta di una canzone disegnata mettendo dentro tutto ciò
che di lucente una chitarra heavy può pensare, tra riff e una
parte solista che
non annoiano mai. Grande pezzo se persino il brevissimo momento acustico
cantato fa la sua bella figura. Finale corale. “TRISKELION” è originale per via
della sua tarantelliana e tutta sud-italiana verve. Ma in realtà è un vero
brano heavy metal che non scade nel folk. Una interpretazione appassionata che
rivela le ottime capacità artistiche della band. “FAIRY GATE” è un pezzo più
melodico e fluidamente accattivante senza diventare banalmente commerciale. “THE
DEFENDING DREAMS BATTLE” torna al power più classico, ma non si tratta solo di
prova scolastica. C’è feeling, appeal e pathos. Chitarra solista ineccepibile. “DEEP
WATER” riesce stupenda. Può essere considerata una mini suite di quasi undici
minuti, davvero riuscita. Spezzata in molti momenti diversi tra loro non perde
però il filo logico. Mezza power e mezza epica, utilizza anche situazioni soft
e melodiche che ammaliano per raffinatezza e intuizione emozionale. Si sentono
il violino, cori alla Blind Guardian, batteria veloce, chitarre elettriche e
acustiche, pianoforte in un insieme di soluzioni armoniose che ne fanno una
memorabile esperienza. “BOOGEYMAN” è un acustico fiotto di malinconia
(rinforzato dal pianoforte finale). Non si tratta di
dolcezza ma di un soffio
vibrante che sfocia in un respiro corale di voci femminili che vuole esprimersi
in modo struggente. La voce spesso ha frangenti alla Tony Kakko dei “Sonata
Arctica”, un po’ meno pulita. Purtroppo si sente che possiede meno estensione,
ma fortunatamente il cantante pare saperlo e la sfrutta al meglio delle sue
possibilità evitando di strafare. E’ in grado di modularla adeguatamente così da
valorizzare i brani senza rovinarli, come sarebbe successo se avesse tentato di
accennare a dei virtuosismi. Insomma sa usarla per rimanere nel solco della
struttura musicale apparendo in questo un bravo cantante. Nonostante la linearità di molte delle canzoni,
l’album risulta meno immediato di quanto ci si possa aspettare, così che il
lavoro viene rivalutato ad ogni successivo ascolto. Se non fosse per le varie
incertezze della voce che si sono qua e là presentate, sarebbe anche un album
migliore di quello dei Sonata, perché stavolta un brano come “Deep Water” al
disco dei finlandesi di quest’anno manca (c’era su “The days of greys” di tre
anni fa). Sky Robertace Latini
***
“STONES GROW HER NAME” Sonata Arctica (dalla Finlandia) - 2012
Un disco di Metal luminoso, senza quelle trame oscure
che tanto ancora scandalizzano il mondo non metal. E’ il loro settimo
full-leght, curato e intriso di suoni puliti. “SHITLOAD OF MONEY” è un 4/4 di
gran tiro, cadenzato e incalzante con venature melodiche ma energico, potente.
Si sente che i
Nightwish sono conterranei contemporanei. “LOSING MY INSANE”
inizia con un pianoforte dal senso estetico classicheggiante, però poi
interviene la chitarra ritmica distorta e parte un brano power metal di fattura
strettamente Sonata Arctica. “ALONE IN HEAVEN” appare come una pseudo ballata
soft. Non è dura, questo si, ma il ritmo c’è ed anche l’energia mista a certa
maestosità.
Molto personale anche nell’interpretazione vocale oltre che
nell’arrangiamento, e nel suo essere piuttosto articolata. “CINDERBLOX” è
intrigante e stupisce con la sua anima countryggiante. Ritmo allegro e scorrevolezza fluida, che risulta
accattivante e assolutamente divertente. Originalità pura. “WILDFIRE PART III:
WILDFIRE TOWM, POPULATION: 0” fa parte di una canzone più ampia, la parte
precedente non è male, ma questa è di livello superiore. Usa durezza e
raffinatezza in una commistione eccellente, utilizzando un sacco di variazioni
sul tema. Per un gruppo famoso e importante come questo la critica non può
essere mai superficiale. Non possiamo dire che il lavoro sia all’altezza di
quello del 2009 (“The day of greys”), eppure la classe come al solito non
manca. Questo è leggermente più diretto, mentre quello possedeva una ariosità
maggiore e una certa malinconia dal fascino magico. Ogni disco dei Sonata è un
viaggio da intraprendere tutto intero; anche questo va intrapreso senza
soffermarsi a paragonarlo coi lavori passati, e in tal modo anche i brani
minori riescono a trovare una loro collocazione e un loro valore. Si percepisce
un animo compositivo elegiaco. Certo che un brano come il finale “Tonight I
dance” va a cadere nel soft-pop tipo le song delle boy-bands, banale e smielato…stucchevole,
se ne poteva fare a meno. Dice Tony Kakko: “La buona musica troverà sempre
qualcuno disposto ad ascoltarla. Fermo restando che il concetto di buono non è una questione di
gusti”. Sono d’accordo. Il titolo dell’album vuole intendere le pietre come
lapidi da cimitero. Distruggendo il pianeta, l’uomo farà di esso il cimitero di
madre natura. Tra i brani composti c’è “The day” che parla dello tsunami in
Giappone. Sky Robertace Latini
***
“THE POWER WITHIN” Dragonforce
(dal Regno Unito) - 2012
E’ la band Power Metal che spinge al massimo la
propria velocità. Equilibra il ritmo forsennato con una melodia eccessivamente
orecchiabile. “FALLEN WORLD” supervelocità con inserti meno veloci e istanti
ancora più
parossistici. Assolo assolutamente iperspeed. “GIVE ME THE NIGHT”
possiede atmosfere algide, ma la linea vocale è piuttosto rock anche se il
ritornello si può definire AoR. Ma il riffing si scurisce e rallenta nella
parte che poi da il via alla parte solista, prima dell’assolo chitarristico
vero e proprio che riprende la grande velocità.
“WINGS OF LIBERTY” inizia fortemente sdolcinata con pianoforte e voce ma
poi mette la sesta e corre via leggiadramente sostenuta fino alla parte cantata
con 4/4 a ritmo meno veloce. Il brano più complesso che fornisce vari cambi di ritmo. Al centro
un assolo
immerso in un ritmo più umano
amplia il feeling. “DIE BY THE
SWORD” è, tra le tracce del disco, la maggiormente intrigante nonostante perda
la virulenza della velocità (pur mantenedo una buona ritmicità). Infatti non è
la velocità a dare l’imprinting ma una linea vocale che cerca meno l’afflato
commerciale e più quello epico, risultando quindi più rock, e lo si sente anche
da alcuni inserti di buon groove. Il livello è buono ma non aggiunge nulla a
quanto il gruppo ha espresso in passato. E pure il cantante Marc Hudson, per
quanto nuova presenza, non muta il quadro stilistico nemmeno per ciò che
concerne la modalità di interpretazione vocale, lasciando che vengano ricalcate
le caratteristiche da tempo sfruttate. Bello certo e anche scorrevole e
squillante, ma abbastanza prevedibile, che usa non solo clichè propri ma anche
quelli di altre band. Sky Robertace Latini
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