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In questi anni abbiamo corso così velocemente che dobbiamo ora fermarci perché la nostra anima possa raggiungerci. (Michael Ende) ---- A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro. Sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi. (Carl Gustav Jung)

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO

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LA FOTO DELLA SETTIMANA a cura di NICOLA D'ALESSIO:QUANDO LA BANDA PASSAVA...
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135. RECENSIONI 2011 di Roberto Latini

DJERV   Djerv (2011)

Debutta con questo album la band norvegese alla cui voce sta Agnete Kjolsrud (ospite nell’ultimo disco di DimmuBorgir): una cantante dalla piena personalità interpretativa; grintosa e audace. Lei è assolutamente di primo piano all’interno di questa opera, ma il livello compositivo e degli arrangiamenti è anch’esso di prima qualità. Sembrano musicisti che hanno
capito perfettamente ciò che la storia del rock duro ha insegnato, vivendo con grande sensibilità lo spirito rock del passato. Hanno scelto una espressione grezza, dove gli assoli sono assenti e le variabili all’interno di ogni brano sono poche, ma l’hanno sviluppata dando ad ogni giro di chitarra, di basso o di voce, una impronta originale e personale. L’orecchiabilità è dentro una miscela forte di ribellione sonora e intensità emotiva, non ammorbidendosi mai troppo, quindi senza cedere alla ruffianeria, prediligendo invece sempre la durezza.  “MADMAN” inizia con l’urlo rauco della cantante annunciando la durezza che caratterizzerà tutto l’album. Un ritmo insistente ed un cadenza elettrica danzante in una linea vocale cantata con tono graffiante che poi diventa rotonda nel ritornello accattivante. Un ponte più soft rende meno pesante la song, ma l’urlo successivo, piuttosto corrosivo, riporta alla vera anima della composizione: violenta ed energica. “THE BOWLING PIN”, ritmata ed elettrica, contiene uno spirito New Wave-Punk, a tratti grunge, nonostante degli sprazzi corali quasi Girlschool. “HEADSTONE” non rinuncia al ritmo ballabile, dove si può fare bene l’headbanging. Riguardo alla parte cantata, quella del ritornello è meno interessante dell’altra che si esprime con atmosfere leggermente decadenti, riuscendo ad essere molto suggestiva. Riff netti e incisivi. “ONLY I EXIST” presenta un inizio acustico ma di breve durata. Il riff che segue è oscuro e tutto il brano si mantiene sempre su questo spirito. Il cantato strascicato scorre fluido adoperando anche la doppia voce contemporanea. Pathos assicurato e sensazioni ipnotiche quasi Gothic Metal.  “LADDER TO THE MOON” è un pezzo poco commerciale che non usa un ritornello catchy (come avviene in altri pezzi presenti nel disco). La voce oscilla tra il graffiante ed il suadente. Ritmica ossessiva. Sonorità concise ma esaustive. Il carattere è punk ma si mischia a varie altre tipologie di metal, con incisiva modernità. Nulla qui è banale, sarà difficile superare questo lavoro, ma se sono geni ci riusciranno, ed io li aspetto al varco, sono un gruppo da tenere d’occhio.  ROBERTO LATINI


GAIA’S LEGACY   Eldritch-2011

Un prog-metal originale e ricercato senza mai diventare troppo cerebrale. Una Italia che ci sa fare, tra durezza e raffinatezza. Momenti ritmici thrash e assoli che non seguono standard già sentiti. Sia per la parte strumentale che per quella cantata, la band cerca di trovare idee nuove e vi riesce. “DEVIATION” è un  ottimo brano metal dove il prog è appena accennato. Cambi di ritmo sotto una linea melodica ben tenuta da una voce molto personale.  “OUR LAND” è, rispetto al brano appena nominato, molto più prog anche se la ritmica risulta più veloce e sferragliante. Sono soprattutto le tastiere a sottolineare l’appartenenza all’area progressive. Un brano ad ampio respiro, con momenti davvero alti. “MOTHER EARTH” è una splendida ballata dove la voce riesce ad esprimersi con una linea vocale complessa senza perdersi mai. C’è un pizzico di Metallica, ma il ritornello, corale, se ne allontana. “EVERYTHING’S BURNING” possiede la potenza del trash ma l’eleganza del progressive. Mai calo di tensione e ritornello d’effetto.  Il disco è tutto su alti livelli, ma sono presenti alcune incertezze sia vocali che compositive. Queste quattro sono però un poker metallico eccezionale, davvero entusiasmante. In alcune tonalità alte a me sembra di sentire la voce della PFM di “Chocolate kings” Si sentono le influenze sia dei Queensry che che dei Dream Theater, ma elaborate in maniera totalmente altro. Si percepiscono anche caratteristiche che legano gli Eldritch ad
altre band italiane, che tendono a unire il power al progressive come Labyrinth e Vision Divine, o che mischiano il metal più classico a certo virtuoso tecnicismo come  gli Eldritch ; ma gli Eldritch appaiono più fuori dai canoni, regalando altre chiavi con cui leggere il prog-metal. Ricordiamoci che la band pubblica dischi da vent’anni, quindi ha una esperienza di rilievo; così si permette anche di elaborare un concept album ispirato al documentario “Una scomoda verità” dell’ex vice-presidente USA Al Gore, che parlava di ambiente e riscaldamento globale.  ROBERTO LATINI


GREEN NAUGAHYDE    Primus – 2011

Americani che suonano musica strana. Disco dalla kermesse creativa al limite della ascoltabilità, eppure il filo c’è, si agguanta e non si perde, anzi trascina in un gorgo dal quale non si può uscire, ammaliati dall’ipereccitazione dei suoni che non lasciano andare via. Una visione surreale della musica. “LAST SALMON MAN” è un rock pazzoide che ricorda cose degli anni ’70 di gente eclettica come Frank Zappa. Ritmica ossessiva e atmosfera gelidamente schizzata, portano l’ascoltatore a seguire come ipnotizzati la strada narrata fino alla fine. La chitarra sforna, al contrario, una certa elettrica lucidità. “EYES OF THE SQUIRREL” sbrodola il suo chitarrismo in una angosciante linea melodica che la voce dal carattere recitativo e il ritornello, tendono a prolungare fino all’esaurimento nervoso, senza però, stranamente, annoiare. Se si vuole un brano ancora più ipnotico rispetto a “Last salmon man”. La seconda parte della traccia si lascia andare ad un fluido acquoso suono elettrificato, come di melma psichedelica piuttosto intrigante. “JILLY’S ON SMACK” si snoda su sonorità più cupe. E’ la batteria qui ad essere veramente il sostegno della struttura. E’ forse il brano migliore dell’album, per la sua variabilità e, al tempo stesso, compattezza  compositiva.  Dopo dodici anni dal loro ultimo lavoro (il primo è del 1990), la critica è unanime nell’affermare che questo è un ritorno assolutamente di qualità.
Si denota una certa freddezza, però bene equilibrata dalla  frizzante brillantezza che dà energia. Tra il funky, il reggae, il rock, e altre musicalità, i giochi si fanno indecenti, mescolando senza rispetto generi da ogni dove, e riuscendoci perfettamente bene. Un lavoro per chi cerca l’originalità ad ogni costo, purchè sia di qualità. Mi sono divertito, ma continuo a preferire il metal (qui di metal non ce n’è). Ah, probabilmente il migliore batterista dell’anno 2011. ROBERTO LATINI




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IN QUESTI ANNI ABBIAMO CORSO COSÌ VELOCEMENTE CHE DOBBIAMO ORA FERMARCI PERCHÈ LA NOSTRA ANIMA POSSA RAGGIUNGERCI

(Michael Ende)

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A chi può procedere malgrado gli enigmi, si apre una via. Sottomettiti agli enigmi e a ciò che è assolutamente incomprensibile. Ci sono ponti da capogiro, sospesi su abissi di perenne profondità. Ma tu segui gli enigmi.

(Carl Gustav Jung)