Debutta con questo album la band norvegese alla cui voce sta Agnete Kjolsrud (ospite nell’ultimo disco di DimmuBorgir): una cantante dalla piena personalità interpretativa; grintosa e audace. Lei è assolutamente di primo piano all’interno di questa opera, ma il livello compositivo e degli arrangiamenti è anch’esso di prima qualità. Sembrano musicisti che hanno
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GAIA’S LEGACY Eldritch-2011
Un prog-metal originale e ricercato senza mai diventare troppo cerebrale. Una Italia che ci sa fare, tra durezza e raffinatezza. Momenti ritmici thrash e assoli che non seguono standard già sentiti. Sia per la parte strumentale che per quella cantata, la band cerca di trovare idee nuove e vi riesce. “DEVIATION” è un ottimo brano metal dove il prog è appena accennato. Cambi di ritmo sotto una linea melodica ben tenuta da una voce molto personale. “OUR LAND” è, rispetto al brano appena nominato, molto più prog anche se la ritmica risulta più veloce e sferragliante. Sono soprattutto le tastiere a sottolineare l’appartenenza all’area progressive. Un brano ad ampio respiro, con momenti davvero alti. “MOTHER EARTH” è una splendida ballata dove la voce riesce ad esprimersi con una linea vocale complessa senza perdersi mai. C’è un pizzico di Metallica, ma il ritornello, corale, se ne allontana. “EVERYTHING’S BURNING” possiede la potenza del trash ma l’eleganza del progressive. Mai calo di tensione e ritornello d’effetto. Il disco è tutto su alti livelli, ma sono presenti alcune incertezze sia vocali che compositive. Queste quattro sono però un poker metallico eccezionale, davvero entusiasmante. In alcune tonalità alte a me sembra di sentire la voce della PFM di “Chocolate kings” Si sentono le influenze sia dei Queensry che che dei Dream Theater, ma elaborate in maniera totalmente altro. Si percepiscono anche caratteristiche che legano gli Eldritch ad
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GREEN NAUGAHYDE Primus – 2011
Americani che suonano musica strana. Disco dalla kermesse creativa al limite della ascoltabilità, eppure il filo c’è, si agguanta e non si perde, anzi trascina in un gorgo dal quale non si può uscire, ammaliati dall’ipereccitazione dei suoni che non lasciano andare via. Una visione surreale della musica. “LAST SALMON MAN” è un rock pazzoide che ricorda cose degli anni ’70 di gente eclettica come Frank Zappa. Ritmica ossessiva e atmosfera gelidamente schizzata, portano l’ascoltatore a seguire come ipnotizzati la strada narrata fino alla fine. La chitarra sforna, al contrario, una certa elettrica lucidità. “EYES OF THE SQUIRREL” sbrodola il suo chitarrismo in una angosciante linea melodica che la voce dal carattere recitativo e il ritornello, tendono a prolungare fino all’esaurimento nervoso, senza però, stranamente, annoiare. Se si vuole un brano ancora più ipnotico rispetto a “Last salmon man”. La seconda parte della traccia si lascia andare ad un fluido acquoso suono elettrificato, come di melma psichedelica piuttosto intrigante. “JILLY’S ON SMACK” si snoda su sonorità più cupe. E’ la batteria qui ad essere veramente il sostegno della struttura. E’ forse il brano migliore dell’album, per la sua variabilità e, al tempo stesso, compattezza compositiva. Dopo dodici anni dal loro ultimo lavoro (il primo è del 1990), la critica è unanime nell’affermare che questo è un ritorno assolutamente di qualità.
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